A sessant’anni dall’enciclica di san Giovanni XXIII “Pacem in terris”, il vescovo Mario Toso delinea l’attualità del testo, paragonato a “una grande cattedrale” da rivisitare, in vista di un impegno rinnovato dei cattolici nella politica e per la pace.

Si sono da poco ricordati i sessant’anni dell’enciclica Pacem in terris. È possibile ricordare in sintesi alcuni punti chiave e qualificanti di questo importante documento?
La Pacem in terris è enciclica importante, perché promulgata in un tempo in cui si è giunti sull’orlo di una nuova guerra mondiale, dopo la seconda. Le testate missilistiche da Cuba minacciavano l’America. L’enciclica di san Giovanni XXIII ha contribuito in vario modo alla distensione dei rapporti conflittuali. Ma l’enciclica giovannea va ricordata perché ha condannato senza mezzi termini ogni guerra nucleare, proponendo il disarmo graduale, indicando l’alternativa della via della non violenza, attiva e creatrice. La pace non è assenza di guerra. È rete complessa di relazioni, interpersonali, internazionali, conformate alle esigenze dello spirito umano, ovvero verità, libertà, giustizia e amore, che sono i pilastri della casa comune dei popoli. Ogni guerra va vinta educando le persone, avviandole a costruire un nuovo ordine sociale, istituzioni di pace. I cristiani e gli uomini di buona volontà, nell’assunzione di un tale impegno, sono chiamati a discernere i segni dei tempi, per scorgere il farsi di una nuova umanità. Le forme germinali di essa vanno accresciute aprendosi alla presenza di Gesù Cristo nella storia e al dono del suo Spirito. Altri punti qualificanti della Pacem in terris sono rappresentati da una convivenza umana strutturata come una realtà spirituale, imperniata sulle persone soggetti di diritti e doveri; dall’assunzione della democrazia, come ordine essenzialmente morale, dello Stato di diritto, sociale, democratico, laico, pluralista, aperto alla trascendenza.

A suo avviso, come sono cambiati il contesto mondiale e l’orizzonte culturale valoriale in questi decenni?
Anche in considerazione di tali cambiamenti, la Pacem in terris assume un più forte valore di profezia? Attualmente, il contesto mondiale è caratterizzato dalla crescita delle diseguaglianze, dalla rivoluzione tecnologica, dalla questione ecologica, da grandi calamità mondiali come la fame, le migrazioni, i cambiamenti climatici, le crisi sanitarie e la “terza guerra mondiale a pezzi”, che trova un epicentro nel conflitto tra Russia e Ucraina. Diventano urgenti un’autorità politica mondiale, il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti, mediante la predisposizione di strumenti efficaci di difesa dell’aggredito; dare vita a un’Agenzia internazionale per la gestione degli aiuti (Aiga), in cui far affluire, ad esempio, anche solo il 10% della spesa militare globale, che in un decennio potrebbe sanare le attuali diseguaglianze strutturali; la revisione del trattato di non proliferazione nucleare; uno sviluppo integrale, sostenibile ed inclusivo; la riforma dell’attuale Onu in senso più democratico, soprattutto mediante l’abolizione del diritto di veto; la revisione trasformazionale dell’assetto delle istituzioni politico-giuridiche nate a Bretton Woods nel 1944 (Fmi, Oms, Banca Mondiale, Wto) e divenute obsolete; la creazione di nuove istituzioni – dotate di poteri mondiali – relative alle migrazioni (Omm), all’ambiente (Oma), all’acqua; l’universalizzazione di una democrazia partecipativa, rappresentativa, inclusiva, deliberativa. Oggi rimane particolarmente attuale il fondamento che è dato ai diritti e ai doveri da parte della Pacem in terris. Mentre nella cultura prevalente si fa sempre più riferimento all’individuo, a un “io” meramente biologico e mercantilizzato, oppure a sue qualifiche particolari relative alla razza, all’etnia, al colore della pelle, alla religione, all’opinione politica, all’“orientamento sessuale”, nell’enciclica i diritti e i doveri sono radicati nella persona umana integrale, in una natura, non intesa in senso fisicista e statico, dotata di intelligenza e di libertà, nella legge morale naturale inscritta nella coscienza di ogni uomo e donna.
Papa Francesco, di recente, ha sottolineato l’attualità della Pacem in terris. In quali punti soprattutto si avverte tale attualità?
Oltre a quelli già evidenziati, credo che oggi siano imprescindibili l’indivisibilità dei diritti e dove riordinamenti giuridici e amministrazioni della giustizia che non consentono la discriminazione di chi fa obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto, della guerra e dell’eutanasia; un’ermeneutica personalista dei concetti di società, Stato, autorità e bene comune. La democrazia senza un’anima etica, è nulla. In un’epoca di post-modernità, in un contesto mondiale che richiede nuovi equilibri economici e politici, in un mondo più interconnesso, sempre meno eurocentrico, non si può dimenticare che le società si manifestano sempre più una trappola senza vie di scampo per i più deboli e i più poveri. Di fronte a questi fatti, occorre ridare un’anima etica alla vita economica e politica, oltre che alla cultura. L’esperienza attesta che non si può perseguire una libertà svincolata dalla verità e dal Bene supremo. La libertà è connessa con la verità, la giustizia e l’amore. Senza questi valori diventa una libertà radicale, arbitraria, utilitarista.

La nozione di “famiglia umana” e l’orizzonte del bene comune universale restano nozioni ancora decisive nel contesto di oggi?
La crescita dell’individualismo e dell’indifferenza nei confronti dell’altro, proprio in una società pervasa da intense comunicazioni, ci confermano l’attualità del pensiero del cardinale Pietro Pavan, il cui ruolo nella stesura dell’enciclica è universalmente riconosciuto e documentato. Egli era convinto che i popoli della terra fossero chiamati a crescere sempre più come famiglia umana. I popoli sussistono sulla base di un’essenza morale che non è data da elementi razziali, etnici, classisti, bensì dall’humanitas che accomuna i cittadini e li fa convergere nella realizzazione del bene comune. Al primo posto, in una società, non si collocano la razza, l’etnia, la classe o altro. All’origine della vita personale e sociale sta la dignità della persona, quale capacità di conoscere il vero, il bene e Dio.
Essa rappresenta l’umano concreto universale, che fiorisce in progressione sulla base di una cultura universale della fraternità. L’unità della famiglia umana rimane l’orizzonte profetico della Pacem in terris, rilanciato in maniera più intensa dall’enciclica “Fratelli tutti” di papa Francesco.

In molti contesti ecclesiali il tema della pace sembra scomparso dall’agenda, nonostante il drammatico momento che stiamo vivendo. Come se lo spiega? Un rinnovato studio dell’enciclica potrebbe favorire una ritrovata presa di coscienza?
Forse non è scomparso del tutto. Sembra rimanere presente come tema di impegno da parte di pochi, da viversi prevalentemente nelle manifestazioni di piazza, senza scendere in profondità delle questioni implicate, senza una convinta opera di educazione alla pace, intesa come abilitazione alla costruzione metodica di un nuovo ordine sociale e politico a livello locale, nazionale, mondiale. La stessa prospettiva della non violenza attiva e creatrice non è percorsa con adeguata prospettiva teologica e pastorale. Il tema della pace è luogo teologico, antropologico, morale, culturale. È tema che coinvolge la giustizia sociale, la strutturazione etica della tecnologia, dell’economia, della finanza, della politica. Come opera complessa, sollecita ad una nuova riflessione sull’impegno politico dei cattolici i quali, se davvero rivisitassero la grande cattedrale che è la Pacem in terris, incontrerebbero l’invito a rispondere alla loro vocazione politica, senza vivere separazioni tra fede e azione.

Il contributo del card. Pietro Pavan all’enciclica è stato più volte sottolineato. Ci può offrire brevemente alcuni spunti rispetto a tale contributo, per aiutarci a ricordarlo come merita?
Per ricordarlo come merita occorre conoscerlo, leggendo i suoi molteplici scritti. In questo periodo, in cui la prossima Settimana sociale dei cattolici si concentrerà sul tema della democrazia, merita che si rilegga lo studio “La democrazia e le sue ragioni” che può essere considerato un classico del pensiero sociale cattolico. Da tale lettura emergerà l’originalità dell’apporto di Pietro Pavan nella stesura della Pacem in terris. Si potrà notare l’impegno che egli pone nel rifondare la filosofia sociale in senso cristiano, nell’elaborazione di un personalismo comunitario e relazionale, come esito di un metodo realistico-esistenziale. Nell’antropologia pavaniana è particolarmente importante il concetto di libertà. Questa, né radicale né indifferente al vero e al bene, è cardine della vita sociale e democratica, è chiave risolutiva delle aporie della filosofia moderna. La capacità di ricercare il vero e il bene è garanzia della continuità tra etica personale ed etica pubblica. L’umano concreto universale, base della convivenza umana, è elemento unificante del multiculturalismo.

Bruno Desidera – “La Voce del Popolo”

 

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