img113La presente riflessione è stata proposta da Don Stefano Culiersi nell’incontro del 30 aprile della Fraternità Francescana Frate Jacopa di Bologna, aperto alla Parrocchia di S. Maria Annunziata di Fossolo. Siamo lieti di pubblicarla perché costituisce un ulteriore prezioso contributo nell’approfondimento del tema dell’abitare sulla scia di quanto proposto dall’Arcivescovo Mons. Matteo Zuppi nel terzo incontro del Ciclo “Abitare la terra. Abitare la città” domenica 9 aprile (cf. Cantico 5-2017) e ci accompagna nell’assunzione di una sempre maggiore consapevolezza del nostro essere cristiani nella città degli uomini.

 

Nell’incontro che il Vescovo Zuppi ha tenuto nella nostra parrocchia la domenica delle Palme, ci ha invitato a leggere il capitolo 19 di Luca come emblematico rapporto tra Gesù e la città degli uomini.

Volendo accogliere il suggerimento del nostro Vescovo, mi è sembrato opportuno ripartire da qui in questo nostro ritiro mensile di Frate Jacopa, e cercare di approfondire insieme il rapporto che la comunità dei discepoli ha nei confronti della città degli uomini, per abitare con fede anche quella speciale relazione sociale che è il nostro essere concittadini.

Mi è parso opportuno ripartire allora da Luca, facendo un passo indietro rispetto al solo cap. 19, per abbracciare con uno sguardo unico il ruolo della città, in specie di Gerusalemme, la città per eccellenza, nell’opera Lucana (Vangelo e Atti degli apostoli).

 

1. IL SENSO DI UNA RICERCA DEL GENERE

A noi non interessa tanto una ricerca di esegesi storico critica, importante per gli addetti ai lavori, come pure il gusto di soddisfare una certa erudizione. Noi ci sentiamo interpellati – ed è sempre bene ricordarlo – dall’esigenza di trasformare in chiave missionaria la nostra vita di discepoli e la nostra comunità cristiana.

Nel solco della conversione missionaria della Chiesa in uscita, tracciata da papa Francesco, noi sentiamo il bisogno di ricomprendere il ruolo della città dove noi abitiamo, delle sue istituzioni, delle sue strutture, dei suoi cittadini, per coinvolgere anzitutto noi stessi nella nuova evangelizzazione.

Per questo sarà necessario ripartire da Evangelii Gaudium ed ascoltare dal Papa quale valore dare alla città degli uomini, per accostare l’opera Lucana con le domande giuste.

Nel secondo capitolo dedicato alla crisi dell’impegno comunitario, un paragrafo è dedicato alle sfide della modernità, tra cui numerosi numeri parlano delle culture urbane (nn. 71-75). In questa sezione, prima di addentrarsi in alcuni dettagli, il Papa invita a riappropriarci di una visione della città rinnovata, con uno sguardo contemplativo purificato.

La nuova Gerusalemme, la Città santa (cfr Ap 21,2-4), è la meta verso cui è incamminata l’intera umanità. È interessante che la rivelazione ci dica che la pienezza dell’umanità e della storia si realizza in una città. Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso (EG 71).

Questa “contemplazione” della città, con quella visione delle cose legata alla visione di Dio, suggerisce la possibilità di avere una “mistica” della città, ovvero una comprensione del Mistero di Salvezza che attraversa anche il vivere e l’abitare insieme il mondo da parte dell’umanità. La vera mistica è infatti questa: la visione spirituale dell’opera di Dio, che tutto penetra e attraversa, disponendo ogni cosa al suo compimento in Cristo, suo Figlio.

In una visione unitaria del tutto, ogni cosa, anche la città, è parte della salvezza. Per di più, come suggerisce il papa, proprio l’approdo di tutto il disegno salvifico è una città, dove Dio non è più confinato nella santità di un tempio, rispetto alla profanità del vivere umano, ma dove Dio è tutto in tutto. La rivelazione ci dice che la pienezza dell’umanità e della storia si realizza in una città.

Se vogliamo una mistica della città, allora abbiamo bisogno di tornare alla rivelazione, per vedere come il Signore coinvolge nel suo mistero di salvezza l’abitare degli uomini nel mondo. Cercheremo di cogliere il ruolo della città di Gerusalemme nella storia salvifica, prendendo l’avvio dall’opera Lucana, per rimanere nell’alveo dell’ispirazione del nostro Vescovo.

 

2. GERUSALEMME. LUOGO DOVE SALIRE, LUOGO OSTILE

Da qualsiasi parte si decida di partire, a Gerusalemme si sale, sempre. Nel Vangelo si conoscono tre salite di Gesù a Gerusalemme. La prima nella presentazione al tempio (Lc 2,22-40); la seconda è nella Pasqua della maturità, a 12 anni (Lc 2,41-52); la seconda è quella descritta nella maggior parte del Vangelo, dalla decisione ferma di salire (Lc 9,51), fino alla sua Ascensione al cielo (Lc 24,51).

Nelle salite infantili raccontate da Luca, Gesù anticipa il senso della sua Pasqua a Gerusalemme: egli compie la legge dell’alleanza nel suo sangue (circoncisione); compie le speranze del popolo e delle nazioni (Simeone); redime la città di Gerusalemme (Anna); manifesta la sapienza divina (i dottori); rimane per sempre unito al Padre (Replica ai genitori).

Appare però evidente che più che la città di Gerusalemme, è il tempio il luogo in cui le cose si compiono, e la città è la meta perché è il luogo dove Dio ha posto la sua dimora.

Ma pure essendo così marcata, la città è e rimane sempre un soggetto unitario, come l’abitare del popolo attorno e insieme al suo Dio. Così i suoi abitanti e le sue istituzioni sono coinvolte nella tensione di tutta la storia di salvezza, che deve compiersi in quel luogo unico: È la città in cui compiere l’Esodo personale di Gesù (Lc 9,31); passaggio che assume presto i connotati drammatici di una morte, che non può compiersi altrove che a Gerusalemme (Lc 13,33), e di cui Gesù offre una consapevolezza straordinaria e incomprensibile per i suoi discepoli.

«Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo si compirà. Sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà». Ma non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto (Lc 18,31-34).

Gerusalemme è quindi un luogo, per la presenza del tempio. Un luogo geografico preciso a cui tendere. Ma il dramma del rifiuto del Messia, consumato a Gerusalemme, connota la vocazione di questa città in chiave fallimentare. È la città ribelle, che uccide i profeti che sono mandati a lei (Lc 13,34; 20,9-19); che si chiude all’arrivo del suo re (Lc 19,14); non acclamando colui che viene nel nome del Signore (cfr. Lc 19,37). La ribellione della città all’inviato dell’Onnipotente è emblematica della ribellione di tutto Israele: Nazareth (Lc 4,16-30); Corazin, Betsaida, Cafarnao (Lc 10,13-15); Samaria (Lc 9,51- 56); e poi i romani e le genti:

«Davvero in questa città si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli d’Israele, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse» (At 4,27-28).

Segno del peccato del mondo, partecipa anche della consumazione del mondo, non sfuggendo al comune destino di tutta l’umanità (discorso escatologico: Lc 21,5-36, soprattutto Lc 21, 20-24).

 

3. GERUSALEMME. LUOGO DELLA SALVEZZA

Gerusalemme è però un luogo contraddittorio, perché accanto alla chiusura verso il Signore, nella città si esprime anche la fedeltà e la misericordia di Dio, che in essa compie la liberazione dalla ribellione del peccato.

Gerusalemme commuove Gesù, che interpreta il suo ministero verso quel popolo come la premura della chioccia verso i pulcini (Lc 13,34) e che piange alla vista della città e del suo destino. (Lc 19,41- 44).

img115Ma soprattutto negli eventi della Pasqua si vede la fedeltà di Dio alla città santa. Quello è il luogo in cui il trono di Davide deve essere rialzato (Lc 1,32-33) e il regno ristabilito per sempre (Lc 19,11). Il compimento è sorprendente, però, perché il regno si manifesterà efficacemente proprio a partire dalle forme drammatiche che la ribellione della città ha disegnato: il re coronato di spine, sul trono che è la croce, omaggiato di insulti apre al buon ladrone il suo regno (Lc 23-35-43)! La redenzione dei peccati comincia da Gerusalemme, come era stato predetto:

«Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,46-48).

Nella città ribelle, fallimento delle premure di Dio e luogo della superbia di tutte le genti, Dio stabilisce il suo regno e comincia a salvare i peccatori che credono a lui.

Ma la città ostile e ribelle è ancora il luogo in cui tornare e attendere fino in fondo la fedeltà di Dio. La risurrezione di Cristo annuncia una fedeltà di Dio alla sua promessa che cambia il volto anche della città. È certamente la città ribelle, ma Città alla quale tornare dopo il tempo della dispersione (Lc 24,33); nella quale perseverare attendendo il dono dello Spirito (Lc 24,49; At 1,4).

Infine è il luogo dove lo Spirito scende, dove Israele è radunato (devoti di tutte le nazioni presenti), dove Dio scende in mezzo al suo popolo (vento, tuono, fuoco), dove la Salvezza è efficacemente annunciata e condivisa (At 2,38-40).

 

4. DAL LUOGO DELLA PRESENZA AL TEMPO DELL’EVANGELIZZAZIONE

 

Nel racconto degli Atti, ovvero nella seconda parte dell’unica opera Lucana, accade però un passaggio importante: Gerusalemme, dopo la Pentecoste, perde il suo ruolo di città a cui tendere e in cui perseverare.

Nel racconto della Chiesa apostolica e dei viaggi di Paolo noi scopriamo che Gerusalemme riveste un ruolo sempre più marginale come città. Diventa un luogo da cui partire: dapprima per una evangelizzazione più limitrofa (Giudea e Samaria), poi più ampia, sulla costa (Lidda, Azoto, Cesarea), nelle città e metropoli vicine (Damasco, Antiochia), quindi in regioni sempre più lontane (Asia minore, Macedonia, Acaia), quindi a Roma e ai confini del mondo.

Ogni volta l’impulso missionario parte da Gerusalemme e a Gerusalemme ritorna, per allargarsi a orizzonti apostolici sempre più vasti, fino a non tornare più a Gerusalemme. Anzi, ci rendiamo conto che poi i centri di impulso missionario si moltiplicano. Antiochia stessa diventa un centro promotore di evangelizzazione, così pure Corinto e infine Roma.

Come una cometa che avesse passaggi di ritorno sempre più rari, per poi non sentire più il bisogno di tornare indietro, così l’evangelizzazione prende sempre più le distanze da Gerusalemme.

Per comprendere il senso di questo allontanamento da un centro che è stato al cuore della storia della Salvezza, penso che sia importante menzionare la fine del tempio di Gerusalemme, che ha tolto a Gerusalemme la caratteristica di essere un luogo unico.

Nel discorso di Stefano in Atti, il tempio viene definitivamente spiritualizzato, e la funzione dell’edificio terreno ridimensionata a vantaggio del tempio celeste e divino, non fatto da mani d’uomo e quindi non destinato alla fine.

La presenza del Cristo Gesù, vivo alla destra dell’Onnipotente nel santuario del cielo, rende ora inutile la presenza del luogo, per cogliere la presenza di Dio universale.

«I nostri padri avevano nel deserto la tenda della testimonianza, come aveva ordinato colui che disse a Mosè di costruirla secondo il modello che aveva visto» (At 7,44).

«Salomone poi gli edificò una casa. Ma l’Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo, come dice il Profeta: Il cielo è il mio trono e la terra sgabello per i miei piedi. Quale casa potrete edificarmi, dice il Signore, o quale sarà il luogo del mio riposo? Non forse la mia mano ha creato tutte queste cose?» (At 7,47-50).

«Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (At 7,56).

Se la città è svuotata della presenza fisica, geografica di Dio, cambia anche il suo statuto. La presenza di Dio è ora nell’actio, non nello spazio. Il Cristo Signore, la Salvezza del mondo che Dio indica a tutti, è alla destra del Padre e quindi è ovunque. E l’azione evangelizzatrice, in cui si mostra l’efficacia della salvezza ottenuta da Cristo per tutte le genti, fa della evangelizzazione il luogo della presenza di Dio. Non più un luogo fisico, ma piuttosto un tempo in cui l’azione si svolge. Se il luogo geografico della presenza di Dio non esiste più, anche lo status della città è diverso. E la missione non può significare più la circoscrizione di spazi “sacri”, da conquistare per offrire una presenza divina nella città degli uomini, che renda profana la vita delle persone, garantendo santo lo spazio che si è circoscritto. La città non è il luogo dello scontro in cui si cerca di strappare alla profanità spazi umani per renderli invece luoghi di proprietà del Signore.

Per comprendere come cambia la città nella fine del tempio fisico di Gerusalemme ci può aiutare una riflessione sempre di papa Francesco in Evangelii Gaudium.

Vi è una tensione bipolare tra la pienezza e il limite. La pienezza provoca la volontà di possedere tutto e il limite è la parete che ci si pone davanti. Il “tempo”, considerato in senso ampio, fa riferimento alla pienezza come espressione dell’orizzonte che ci si apre dinanzi, e il momento è espressione del limite che si vive in uno spazio circoscritto. I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae. Da qui emerge un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è superiore allo spazio (EG 222).

È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo. …

Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci (EG 223).

La presenza spirituale del Risorto toglie la distinzione nella città degli uomini tra il “noi” e il “loro”, tra coloro che appartengono ad uno spazio redento ed uno spazio irredento. Forti della sua presenza i discepoli cominciano ad annunciare il Vangelo e nell’azione missionaria si fa esperienza della presenza di Dio, che accompagna l’evangelizzazione dei discepoli.

Alla luce dell’evangelizzazione, che ha orizzonti di tempo infiniti, la città degli uomini acquista un valore unico. Essa è l’interlocutore dell’evangelizzazione. I discepoli, abitanti di Gerusalemme, annunciano agli altri abitanti di Gerusalemme le meraviglie che il Signore ha operato, fedele al suo amore (At 2,14-16). Questo annuncio non avviene solo a parole, ma anche nella espressione di una socialità redenta, come è quella della comunità cristiana (At 2,41-48).

L’evangelizzazione, come Azione, e quindi come processo, si dispiega pertanto nel tempo, e chiede di immaginare non tanto l’esecuzione di una attività, che possa dirsi conclusa e finita, ma l’esercizio di una relazione tra le persone, con le quali il discepolo- missionario sente di essere debitore dell’annuncio del Vangelo.

Luca sembra privilegiare negli Atti degli Apostoli la parola “testimone”, per indicare l’attività evangelizzatrice del discepolo1.

Il testimone non è un relatore, che finito il suo discorso abbia finito la sua funzione. Egli rimane per sempre testimone di quello che ha visto, di cui è stato partecipe. Ai cittadini di Gerusalemme e all’umanità intera ovunque e comunque decida di strutturarsi, il discepolo offre la sua testimonianza di chi ha fatto esperienza della risurrezione del Messia, della fedeltà di Dio, della Salvezza e liberazione che nella comunità cristiana si sperimenta.

Il testimone è tale sempre, anche quando nessuno lo ascolta. Egli ha fatto esperienza, per cui il suo primo riferimento non è la circostanza o il luogo in cui compiere il suo annuncio. Egli è testimone per la sua relazione con l’evento originario, di cui ha esperienza. Per l’esperienza che ha, il testimone sa quello che dice, e può richiamare a tutti la solidità degli eventi che lo hanno coinvolto.

 

CONCLUSIONI

Abbiamo cercato di vedere con uno sguardo mistico la città degli uomini, a partire dal rapporto tra la città di Gerusalemme e la comunità dei discepoli. Ci siamo soffermati sull’opera Lucana. È evidente che per avere una mistica della città avremmo bisogno di una lettura più ampia, comprendendo anche altre tradizioni apostoliche presenti nel nuovo testamento. Intanto però è stato prezioso vedere Gerusalemme, centro nell’opera Lucana non solo come il luogo di tensione verso cui convergere, ma anche il luogo desacralizzato, che perde il suo centro religioso e diventa città degli uomini come le altre.

img119Una lettura che si limitasse solo al Vangelo secondo Luca rischierebbe di cercare una conquista (pacifica, beninteso) della città, per sostituire alla città ribelle una nuova città, redenta e santa, che acclami benedetto il re che viene e che estenda da lì i suoi confini per una conquista di tutti gli spazi, per sottrarli alla profanità e renderli santi della appartenenza alla religione.

Una presenza del Signore risorto accessibile a tutti perché non confinata geograficamente in un luogo, ma perché presente nell’azione dell’annuncio del vangelo, ridisegna il volto della città e il volto dei discepoli. Gli ultimi non sono conquistatori, la prima non è terreno di caccia, ma i discepoli sono testimoni della risurrezione di Cristo e la città è interlocutrice dell’Evangelo. Il processo dell’annuncio evangelico porta l’attenzione ai tempi di relazione, più che ai luoghi di possesso.

Proprio l’attenzione alle relazioni in cui gli interlocutori si collocano permette di cogliere che le relazioni già esistenti per il convivere civico degli uomini, lungi dall’essere celebrati acriticamente, sono però già legame nel quale il testimone può già presentare la salvezza che lo ha raggiunto. Paolo, nei suoi viaggi apostolici, si presentava nelle sinagoghe facendo leva sulla relazione già esistente con quella parte di cittadini.

La sua appartenenza a quella esperienza religiosa è presente e diventa il punto di partenza per la sua testimonianza. Dopo di questo e accanto a questo avvio, anche altri luoghi dove veniva introdotto e presentato, e quindi dove relazioni sociali già erano intessute, si animano della evangelizzazione e si mette in circolo la testimonianza del Risorto. L’attenzione sul tempo e sui processi di evangelizzazione portano a valorizzare quelle relazioni esistenti, per renderle qualificanti nella testimonianza del vangelo. Il groviglio relazionale, complesso e a volte stancante, delle nostre città, lascia intravvedere proficui processi di evangelizzazione.

 

1 Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).

Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni (At 2,32).

Dio l’ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni (At, 3,15).

Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia (At 4,33).

E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui (At 5,32).

Essi poi, dopo aver testimoniato e annunziato la parola di Dio, ritornavano a Gerusalemme ed evangelizzavano molti villaggi della Samaria (At 8,25)…

Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome (At 22,15-16).

La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: «Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma» (At 23,11).

E fissatogli un giorno, vennero in molti da lui nel suo alloggio; egli dal mattino alla sera espose loro accuratamente, rendendo la sua testimonianza, il regno di Dio, cercando di convincerli riguardo a Gesù, in base alla Legge di Mosè e ai Profeti (At 28,23).

 

Don Stefano Culiersi