Relazioni e discernimento nella prospettiva francescana
L’iper-connessione e iper-accelerazione della società attuale “supera la nostra capacità di riflessione e giudizio”. “Molte persone sperimentano un profondo squilibrio che le spinge a fare le cose a tutta velocità”. Papa Francesco denomina “rapidación” (rapidizzazione) l’odierna frenesia nei ritmi di vita e di lavoro che porta all’agitazione irriflessiva e provoca indifferenza, tensioni e non di rado violenza e scontri, invece di favorire l’avvicinamento rispettoso a tutto ciò che ci circonda.
In questo contesto, il discernimento risulta più che mai necessario.
La prima parte del mio intervento si focalizza sulla necessità del discernimento e indica alcune caratteristiche. La seconda parte riflette su come praticarlo per venire incontro alle sfide etiche poste dalla cultura digitale; la terza parte invita a vivere con speranza nel nuovo contesto comunicativo ed esistenziale.
1. IL DISCERNIMENTO
Il discernimento è normalmente inteso come la facoltà di giudicare, valutare e distinguere rettamente. La tradizione della Chiesa lo considera un dono divino che rende capaci di “prendere decisioni e orientare le proprie azioni in situazioni di incertezza. […] Si applica a una pluralità di situazioni. Vi è infatti un discernimento dei segni dei tempi”, un discernimento morale, spirituale, vocazionale, ecc.
Parlando di Francesco d’Assisi, Bonaventura descrive il discernimento come un “ricercare con singolare zelo la via e il modo per servire più perfettamente Dio, come a lui meglio piace”. La povertà interiore, la purezza, la semplicità e l’ascolto della Parola sono necessari per poterlo praticare correttamente, perché preparano ad accogliere l’ispirazione dello Spirito Santo.
Francesco incaricò Chiara di “indagare la volontà di Dio su questo punto, sia incaricandone qualcuna fra le vergini più pure e semplici, che vivevano alla sua scuola, sia pregando lei stessa con le altre sorelle”.
Ognuno deve discernere se ha lo Spirito del Signore, che è il bene più desiderabile, o se invece si lascia guidare dallo spirito della carne.
La povertà interiore è un criterio chiaro per riconoscere lo Spirito del Signore, mentre l’orgoglio, la presunzione, la vanagloria e l’orgoglio sono segni dello spirito della carne.
1.1. Necessità e scopo del discernimento
Nella dottrina e nella prassi spirituale il discernimento è considerato indispensabile per poter conoscere la volontà di Dio. Infatti, “ad ogni incrocio di strade devo discernere un bene concreto, il passo avanti nell’amore che posso fare, e il modo in cui il Signore vuole che lo faccia”.
Francesco d’Assisi lo praticò costantemente, perché conoscere e seguire la volontà di Dio era “la sua filosofia suprema” e “il suo supremo desiderio”. Per questo, chiedeva ai sapienti e ai semplici, ai perfetti e agli imperfetti, ai giovani e agli anziani”, anche su piccole cose (LegM 12,2).
Vivendo tra poveri e lebbrosi, Francesco imparò a discernere, cambiò il suo modo di vedere la realtà e si sentì mosso a “lasciare il secolo”; Questa esperienza fu così importante, che volle che, durante un certo tempo, tutti i frati “rimanessero nei lazzaretti dei lebbrosi” e nelle loro case per servirli. Allo stesso tempo, Francesco pregava: “illumina le tenebre de lo core mio e damme […] senno e cognoscimento”. Chiedendo l’illuminazione del cuore, sottolinea che non era solo alla ricerca di una conoscenza razionale, ma vitale, di tutto l’essere, perché solo in questo modo si può “fare lo tuo santo e verace comandamento” (PCr 5).
Nella prospettiva francescana, la vera sapienza (sapere, “sapore”) va insieme alla “delectatio” e alla fruizione amorosa dell’Amato. Infatti, “dove la ragione non vede più, vede l’amore”.
Il discernimento continua ad essere imprescindibile oggi. Bombardati da tante suggestioni mediatiche, tecnologiche e consumistiche, possiamo avere l’impressione di essere più autonomi, quando in realtà abbiamo cambiato soltanto l’oggetto della nostra dipendenza.
Con il discernimento si cerca di individuare il bene possibile per il soggetto in una determinata situazione, “ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo”.
1.2. Elementi del discernimento
“Riconoscere, interpretare e scegliere”: con queste parole, Papa Francesco sintetizza gli elementi del discernimento. Il riconoscere implica silenzio, ascolto, prossimità affettuosa alle persone e agli avvenimenti, per poter cogliere la loro rilevanza e i loro effetti sull’interiorità del soggetto.
Bisogna poi saper interpretare quella esperienza per capire l’origine e il senso dei “desideri e delle emozioni provate” (AL 143). Questa fase non è facile: richiede tempo, pazienza e anche formazione.
Dopo aver riconosciuto e interpretato, bisogna decidere, cioè fare le scelte più adeguate, alla luce dello Spirito, per uscire da sé stessi e camminare senza paura nella giusta direzione. Questo esercizio di libertà responsabile, libera il soggetto dalla volubilità e dal relativismo favoriti e, in un certo senso, imposti dalla società consumistica.
Il discernimento è un processo lungo, dinamico e laborioso, nel quale la persona si apre progressivamente alla guida dello Spirito Santo e al dono della sua illuminazione. Pertanto, il discernimento è una scuola di ascolto, di orientamento e di contemplazione, che educa a saper prendere le decisioni coerenti con la propria vocazione e missione, “secondo Dio”. Bonaventura fa notare questa gradualità in Francesco d’Assisi quando afferma che, all’inizio della sua conversione, “non aveva ancora imparato a contemplare le realtà celesti, né aveva fatto l’abitudine a gustare le realtà divine” (LegM 1.2).
Infatti, Francesco dovrà rivedere molte volte la sua percezione della volontà divina, iniziando da quella frase iniziale “va’ e ripara la mia casa” (LegM 2.1).
Il discernimento esige il rinnovamento del “modo di pensare per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2). Si tratta di avere un cuore docile (1Re 3,9), che ascolta e vede, senza la pretesa dell’utilità immediata, perché Dio parla in ogni circostanza e quella parola ascoltata “dà frutto a suo tempo” (Sal 1,3).
2. CULTURA DIGITALE: MOTIVI DI SPERANZA E DISAGI
I Media sono un motivo di ammirazione e di speranza. Essi fortificano i vincoli fraterni della famiglia umana, favoriscono la sinergia e la solidarietà nel far fronte a questioni gravi e urgenti, fanno luce sugli abusi, stimolano il progresso e la competenza responsabile, servono da alveo all’arricchimento spirituale e alla riflessione etica.
Tuttavia, esistono sfide che rendono necessario un continuo discernimento. Infatti, i nuovi Media agiscono anche da filtro e possono ostacolare l’autentica comunicazione; servono per aumentare l’empatia, ma possono favorire il rinchiudersi in un narcisismo narcotizzante; facilitano l’accesso all’informazione, ma possono pure rendere evanescente la distinzione tra verità e menzogna, tra realtà ed illusione; aiutano ad apprezzare la diversità, ma spesso propongono modelli di vita basati sull’avere e sul prevalere, diventando così uno strumento dell’“imperialismo culturale”, “del materialismo economico e del relativismo etico”.
2.1. Iper-connessi e iper-accelerati
Le telecomunicazioni e i dispositivi mobili permettono di essere sempre collegati, sottoposti a un continuo flusso di richiami che non lasciano spazio all’introspezione e all’incontro sereno e rilassato. La “febbre del cellulare” e i programmi di comunicazione istantanea, come WhatsApp o Messenger, spingono l’utente a rispondere subito ai messaggi appena ricevuti, senza concedersi un tempo di riflessione, con reazioni veloci e istintive (“mi piace”). Risulta così difficile elaborare interiormente l’esperienza ed assimilarla in modo riflessivo. Le emozioni sono preferite ai sentimenti, le reazioni istintive alla riflessione ponderata.
Il continuo susseguirsi di eventi rende difficile la percezione del tempo e dello spazio. Molti internauti saltano velocemente da un sito all’altro, da un programma televisivo all’altro, senza uno scopo preciso, sempre alla ricerca di nuovi stimoli. Cercano così di compensare l’incapacità di introspezione e un livello di saturazione sempre più basso. Baricco parla dei “nuovi barbari” che mettono “la velocità al posto della riflessione”.
La tecnologia spinge a una “continua attenzione parziale”. Il soggetto parla su Skype mentre scrive con Word e cerca su Google. La realizzazione simultanea di compiti diversi (multitasking), il salto continuo da un ambiente all’altro e la velocità con cui riceve e rinvia l’informazione possono portarlo alla confusione.
2.2. Relazioni tecnologicamente mediate
In questo contesto accelerato, è “di grande importanza mettere a fuoco come l’esperienza di relazioni tecnologicamente mediate strutturi la concezione del mondo, della realtà e dei rapporti interpersonali” (Sinodo2018).
Sono molti gli aspetti positivi. I nuovi media facilitano l’essere sempre “online”, accessibili e disponibili all’incontro comunicativo e, in questo modo, “aumentano le possibilità di confronto fecondo e arricchimento reciproco” (Sinodo2018).
Dall’altra parte, “in una cultura spesso dominata dalla tecnica, sembrano moltiplicarsi le forme di tristezza e solitudine”. Riesman parla di una “folla solitaria” per riferirsi a individui insicuri, consumisti e ansiosi che cercano rifugio nell’ambito intimo, si disinteressano della vita pubblica e si lasciano telecomandare dai media. Le difficoltà economiche, la complessità e i rapidi mutamenti sociali provocano incertezza e vulnerabilità, soprattutto nelle generazioni più giovani.
I browser facilitano le nostre ricerche online, in base alle indagini precedenti, ma questo può anche rinchiuderci sempre di più in una bolla e alimentare il nostro auto-indottrinamento narcisistico, facendoci credere che tutti la pensano come noi.
3. APRIRSI ALLA SPERANZA NELL’ERA DIGITALE
La velocità dell’informazione “non permette un’espressione di sé misurata e corretta” (GCS 2014). Diviene così difficile “lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità” (LS 47).
Bisogna saper gestire bene il diluvio di informazioni, per evitare che la mancanza di punti fermi di riferimento possa aprire le porte al disorientamento, al relativismo, oppure all’integralismo. Di fatto, molti “riempiono il proprio vuoto esistenziale con mode, cosmetici, palestre, droghe, farmaci, psicologi, cibo, bevande, automobili e gadget tecnologici”.
La formazione e la crescita umana richiedono silenzio, discernimento, interiorizzazione. Le emozioni, intense ed effimere, devono lasciare spazio ai sentimenti.
“I sentimenti sono stati affettivi a fondamento conoscitivo; si differenziano dalle pure emozioni sensibili e dalle passioni, in quanto sono fenomeni stabili, duraturi, generalmente meno intensi delle emozioni e delle passioni. Il sentire, comunque, non si oppone alla razionalità, poiché viene esercitato insieme al giudizio di valore”.(2)
Si deve coltivare la capacità di “assaporare il valore del silenzio e della contemplazione e formare alla rilettura delle proprie esperienze e all’ascolto della coscienza” (Sinodo 2018).
3.1. Imparare a narrare e a narrarsi
La comunicazione nell’ambito digitale permette di conservare traccia delle nostre attività e quindi di tessere una narrazione polifonica della propria vita: foto, messaggi, blogs, acquisti, video, ricordi propri e altrui sono immagazzinati con precise coordinate spazio-temporali. Il fatto di condividerli li rende ancora più significativi.
Nonostante queste possibilità, la comunicazione online diventa spesso frammentaria, auto-referenziale e narrativamente incoerente, giacché il soggetto giustappone quei contenuti senza creare un discorso coerente e ben articolato. Tutto sembra un mosaico di esperienze senza una chiara sequenza logica. La gente oggi è, “paradossalmente, (s)premuta sul presente perché è dimentica del passato, […] e «teme» il futuro”. È necessario superare questa frammentazione per recuperare la capacità di narrare la propria storia, dando senso alle proprie esperienze, al succedersi degli eventi, al divenire personale.
L’incapacità di narrare e di narrarsi rende difficile la costruzione della propria identità. Immersi in un ambiente tecnicizzato, molti giovani “hanno difficoltà sempre maggiori a trovare fuori di sé e del proprio spazio di prossimità valori significativi da assumere come riferimento. Tendono così a ripiegare su sé stessi” per “proteggere un’interiorità fragile, vulnerabile e impotente”.
Colui che accompagna dovrà saper integrare maieutica ed ermeneutica in modo avveduto. Con la maieutica, si aiuta a portare alla luce la verità che ognuno ha dentro di sé; mediante l’ermeneutica, si accompagna l’altro nel processo di interpretare correttamente quanto gli accade, fornendogli riferimenti valoriali, orientamenti, criteri di lettura, suscitando ideali e motivazioni. Di fatto, “i giovani cercano adulti per attivare un confronto significativo di ‘umanità’’ di sentimento, per valutare, maturare idee e riferimenti di valore della vita. Si tratta di un processo interattivo, in cui si impara ad ascoltare la voce dello Spirito e ad ascoltarsi a vicenda. Francesco d’Assisi lo ha espresso chiedendo a tutti “si obbediscano vicendevolmente” (Rnb 5,14), sottolineando così l’importanza delle relazioni fraterne nel discernimento e definendolo come “una forma di obbedienza”.
La narrazione sarà autentica se: a) fa rivivere un’esperienza; b) evoca più che imporre orientamenti; c) fa vivere oggi quello di cui si fa memoria; d) offre sicurezze e speranza per il futuro.
L’atto narrativo fa appello alla memoria per illuminare il presente e protendere verso il futuro. Senza la capacità di narrare e discernere, “i fatti della vita restano sciolti e incomprensibili”. Non a caso, la narrazione ha un posto centrale nel Vangelo, mentre in altre religioni e filosofie religiose “la storia è relativamente marginale”.
3.2. Una speranza escatologica
Il riposo contemplativo della domenica, «il cui centro è l’Eucaristia» (237), ci ricorda che siamo stati creati per il settimo giorno, quel giorno senza fine in cui gli esseri umani godranno pienamente dei rapporti armoniosi con Dio, con gli altri, con sé stessi e con il creato.
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte (Is 11, 6-9).
Questa speranza escatologica dei nuovi cieli e della nuova terra è anche un invito all’impegno per renderli già presenti qui e ora. Dobbiamo anticipare già, in qualche modo, il settimo giorno, potenziando alcune dimensioni della vita che non dipendono dalla logica del mercato, come la contemplazione, la festa, il senso ludico, l’arte, la condivisione gioiosa e disinteressata. Abbiamo bisogno di rafforzare in noi «quell’atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza» (CA 37).
Il tempo è sempre favorevole a un nuovo inizio (207), un nuovo risveglio, un maggior rispetto per la vita, nelle sue molteplici forme. La fede nel Dio indulgente, che ama la vita (Sap 11,26), ci invita alla speranza. Egli «si è unito definitivamente con la nostra terra» (245) e non la lascerà mai. L’attuale situazione ecologica è grave, ma il Dio della storia, che crea e sostiene, ci invita ad avere fiducia nell’essere umano. Il nostro sguardo deve essere proteso in avanti, sempre impegnati a preparare un futuro di speranza per le generazioni future e ad anticipare l’arrivo dei nuovi cieli e della nuova terra (2Pt 3,13). «Proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19).
CONCLUSIONE
Il discernimento spinge ad “uscire” dai propri schemi, a “guardare” con rispetto nella profondità del cuore e “chiama” a mettersi in cammino. In questo modo, rende possibile il percepire la continuità del nostro essere e la portata delle nostre esperienze, unendo il presente al passato e aprendolo al futuro.
In un mondo iper-connesso, pieno di richiami, bisogna ricordare che la libertà non è possibile senza una rigorosa e corretta disciplina interiore che educhi a custodire il cuore e la vista, a controllare e gestire le emozioni e i sentimenti, a mantenere un ritmo equilibrato nella organizzazione dei propri ritmi di vita (vita spirituale, studio, lavoro, pasti, riposo), a dedicare tempo e passione alla riflessione, al raccoglimento interiore e al silenzio meditativo.
Bisogna recuperare la capacità di narrare la propria storia, dando senso alle proprie esperienze, al succedersi degli eventi, al divenire personale. In questo modo, il soggetto sarà in grado di unificare la propria vita sul fondamento ultimo e così avanzare con speranza verso il futuro.
Martin Carbajo Nùñez
Teologia morale e Etica della comunicazione (Pontificia Università Antonianum, Alfonsiana e FST Università di San Diego)