Intervista al patriarca latino di Gerusalemme,
mons. Pierbattista Pizzaballa,

mentre la guerra riavvampa in Terra Santa

 

Da giorni Israele ha lanciato contro il territorio della Striscia di Gaza – senza risparmio di mezzi – l’operazione militare “Guardiani delle mura”, in risposta al lancio di migliaia di missili e razzi sui centri urbani dello Stato ebraico, avviato il 10 maggio scorso dal movimento Hamas e dall’organizzazione Jihad islamico palestinese. Le vittime sono ormai molte decine, soprattutto sul versante palestinese.

Signor patriarca, pensa che questa nuova impennata di violenza durerà a lungo?
Viviamo in una terra in cui le cose imprevedibili sono molte più di quelle prevedibili. Tutto dipenderà dalle decisioni e dalle considerazioni politiche che entrambe le parti seguiranno e terranno in considerazione. Per come la situazione si è evoluta, penso che la violenza messa in campo sia stata molto maggiore del solito. Produrrà ferite che, credo, richiederanno ancora più tempo per guarire. La situazione che stiamo vivendo in questi giorni, in particolare nelle città (israeliane) con popolazione araba ed ebraica, è il risultato di anni di politica sprezzante, che i movimenti di destra hanno sempre più incoraggiato. Se i leader politici e religiosi non iniziano a cambiare questi atteggiamenti, la situazione peggiorerà. Il disprezzo può solo produrre violenza.

Rispetto alle operazioni belliche in corso, cosa colpisce di più il suo cuore di vescovo?
Quello che non mi mette affatto a mio agio – oltre all’idea della guerra stessa, ovviamente – è proprio il desiderio di «difendere i muri», mentre noi continuiamo a invocare «la costruzione di ponti»! Ciò significa, purtroppo, che siamo ancora ben lontani dalla possibilità di una pace duratura, che non sia un semplice armistizio o una situazione di limbo politico. Noi però non ci arrendiamo. Ci sono molte persone e ambiti nelle società israeliana e araba con cui possiamo costruire ponti. E lo faremo!

Come reagiscono alla violenza i fedeli della sua diocesi in Israele e Palestina?
Ci sono sempre sentimenti di paura e incertezza rispetto a un futuro sempre più incerto e insicuro.
Serve altro per capire il desiderio di emigrare di molti dei nostri cristiani? Certo, la Chiesa ha sempre offerto aiuto e vuole continuare a farlo, ma i bisogni superano di gran lunga le nostre possibilità! La mancanza di turisti e pellegrini (a causa della pandemia di Covid-19 – ndr) ha solo acuito il problema economico e quindi anche i problemi delle famiglie che faticano a trovare la sicurezza economica necessaria alla loro stabilità. Non posso negare che la frustrazione è grande.

Si rammarica del fatto che la comunità internazionale non abbia preso una posizione adeguata sulla questione dell’espulsione forzata di famiglie arabe dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme?
Penso che la comunità internazionale in questo momento abbia altre priorità rispetto a questi problemi specifici del conflitto israelo-palestinese. Il Covid-19 e le crisi economiche, sociali e politiche che si stanno moltiplicando ovunque lasciano poco tempo e voglia alla comunità internazionale per farsi coinvolgere nel conflitto in Terra Santa.
Aggiungo che non ho mai capito cosa sia di preciso la comunità internazionale. Di certo altri Paesi potrebbe aiutare a trovare delle soluzioni, ma nessuno può sostituire gli interlocutori locali. Fino a quando palestinesi e israeliani non si parleranno, nessuno potrà fare nulla per migliorare la situazione.

Più in generale, di recente ci sono state abitazioni di cristiani confiscate dalle autorità israeliane?
Il problema della confisca interessa maggiormente i terreni, soprattutto nella cosiddetta Area C (l’ampia porzione dei Territori palestinesi sotto l’esclusivo controllo di sicurezza e amministrativo dello Stato ebraico – ndr). Ma ci sono anche casi in cui famiglie cristiane che costruiscono in quest’area, su terreni di loro proprietà, si trovano in una situazione illegale agli occhi di Israele. Così le loro case possono essere distrutte (in qualunque momento) dalle autorità israeliane.

Christophe Lafontaine