Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
La pandemia ha messo allo scoperto la difficile situazione dei poveri e la grande ineguaglianza che regna nel mondo. E il virus, mentre non fa eccezioni tra le persone, ha trovato, nel suo cammino devastante, grandi disuguaglianze e discriminazioni. E le ha aumentate!
La risposta alla pandemia è quindi duplice. Da un lato, è indispensabile trovare la cura per un virus piccolo ma tremendo, che mette in ginocchio il mondo intero. Dall’altro, dobbiamo curare un grande virus, quello dell’ingiustizia sociale, della disuguaglianza di opportunità, della emarginazione e della mancanza di protezione dei più deboli. In questa doppia risposta di guarigione c’è una scelta che, secondo il Vangelo, non può mancare: l’opzione preferenziale per i poveri (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium [EG], 195). E questa non è un’opzione politica; neppure un’opzione ideologica, un’opzione di partiti. L’opzione preferenziale per i poveri è al centro del Vangelo. E il primo a farla è stato Gesù; lo abbiamo sentito nel brano della Lettera ai Corinzi che è stato letto all’inizio. Lui, essendo ricco, si è fatto povero per arricchire noi. Si è fatto uno di noi e per questo, al centro del Vangelo, al centro dell’annuncio di Gesù c’è questa opzione.
Cristo stesso, che è Dio, ha spogliato sé stesso, rendendosi simile agli uomini; e non ha scelto una vita di privilegio, ma ha scelto la condizione di servo (cfr Fil 2,6-7). Annientò sé stesso facendosi servo. È nato in una famiglia umile e ha lavorato come artigiano. All’inizio della sua predicazione, ha annunciato che nel Regno di Dio i poveri sono beati (cfr Mt 5,3; Lc 6,20; EG, 197). Stava in mezzo ai malati, ai poveri, agli esclusi, mostrando loro l’amore misericordioso di Dio (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2444). E tante volte è stato giudicato come un uomo impuro perché andava dai malati, dai lebbrosi, che secondo la legge dell’epoca erano impuri. E Lui ha rischiato per essere vicino ai poveri.
Per questo, i seguaci di Gesù si riconoscono dalla loro vicinanza ai poveri, ai piccoli, ai malati e ai carcerati, agli esclusi, ai dimenticati, a chi è privo del cibo e dei vestiti (cfr Mt 25,31-36; CCC, 2443). Possiamo leggere quel famoso parametro sul quale saremo giudicati tutti, saremo giudicati tutti. È Matteo, capitolo 25. Questo è un criterio-chiave di autenticità cristiana (cfr Gal 2,10; EG, 195). Alcuni pensano, erroneamente, che questo amore preferenziale per i poveri sia un compito per pochi, ma in realtà è la missione di tutta la Chiesa, diceva San Giovanni Paolo II (cfr S. Giovanni Paolo II, Enc. Sollicitudo rei socialis, 42). «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri» (EG, 187).
La fede, la speranza e l’amore necessariamente ci spingono verso questa preferenza per i più bisognosi,[1] che va oltre la pur necessaria assistenza (cfr EG, 198). Implica infatti il camminare assieme, il lasciarci evangelizzare da loro, che conoscono bene Cristo sofferente, il lasciarci “contagiare” dalla loro esperienza della salvezza, dalla loro saggezza e dalla loro creatività (cfr ibid.). Condividere con i poveri significa arricchirci a vicenda. E, se ci sono strutture sociali malate che impediscono loro di sognare per il futuro, dobbiamo lavorare insieme per guarirle, per cambiarle (cfr ibid., 195). E a questo conduce l’amore di Cristo, che ci ha amato fino all’estremo (cfr Gv 13,1) e arriva fino ai confini, ai margini, alle frontiere esistenziali. Portare le periferie al centro significa centrare la nostra vita in Cristo, che «si è fatto povero» per noi, per arricchirci «per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).[2]
Tutti siamo preoccupati per le conseguenze sociali della pandemia. Tutti. Molti vogliono tornare alla normalità e riprendere le attività economiche. Certo, ma questa “normalità” non dovrebbe comprendere le ingiustizie sociali e il degrado dell’ambiente. La pandemia è una crisi e da una crisi non si esce uguali: o usciamo migliori o usciamo peggiori. Noi dovremmo uscire migliori, per migliorare le ingiustizie sociali e il degrado ambientale. Oggi abbiamo un’occasione per costruire qualcosa di diverso. Per esempio, possiamo far crescere un’economia di sviluppo integrale dei poveri e non di assistenzialismo. Con questo io non voglio condannare l’assistenza, le opere di assistenza sono importanti. Pensiamo al volontariato, che è una delle strutture più belle che ha la Chiesa italiana. Ma dobbiamo andare oltre e risolvere i problemi che ci spingono a fare assistenza. Un’economia che non ricorra a rimedi che in realtà avvelenano la società, come i rendimenti dissociati dalla creazione di posti di lavoro dignitosi (cfr EG, 204). Questo tipo di profitti è dissociato dall’economia reale, quella che dovrebbe dare beneficio alla gente comune (cfr Enc. Laudato si’ [LS], 109), e inoltre risulta a volte indifferente ai danni inflitti alla casa comune. L’opzione preferenziale per i poveri, questa esigenza etico-sociale che proviene dall’amore di Dio (cfr LS, 158), ci dà l’impulso a pensare e disegnare un’economia dove le persone, e soprattutto i più poveri, siano al centro. E ci incoraggia anche a progettare la cura del virus privilegiando coloro che ne hanno più bisogno. Sarebbe triste se nel vaccino per il Covid-19 si desse la priorità ai più ricchi! Sarebbe triste se questo vaccino diventasse proprietà di questa o quella Nazione e non sia universale e per tutti. E che scandalo sarebbe se tutta l’assistenza economica che stiamo osservando – la maggior parte con denaro pubblico – si concentrasse a riscattare industrie che non contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune o alla cura del creato (ibid.). Sono dei criteri per scegliere quali saranno le industrie da aiutare: quelle che contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune e alla cura del creato. Quattro criteri.
Se il virus dovesse nuovamente intensificarsi in un mondo ingiusto per i poveri e i più vulnerabili, dobbiamo cambiare questo mondo. Con l’esempio di Gesù, il medico dell’amore divino integrale, cioè della guarigione fisica, sociale e spirituale (cfr Gv 5,6-9) – come era la guarigione che faceva Gesù -, dobbiamo agire ora, per guarire le epidemie provocate da piccoli virus invisibili, e per guarire quelle provocate dalle grandi e visibili ingiustizie sociali. Propongo che ciò venga fatto a partire dall’amore di Dio, ponendo le periferie al centro e gli ultimi al primo posto. Non dimenticare quel parametro sul quale saremo giudicati, Matteo, capitolo 25. Mettiamolo in pratica in questa ripresa dall’epidemia. E a partire da questo amore concreto, ancorato alla speranza e fondato nella fede, un mondo più sano sarà possibile. Al contrario, usciremo peggio dalla crisi. Che il Signore ci aiuti, ci dia la forza per uscire migliori, rispondendo alle necessità del mondo di oggi.
[1] Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su alcuni aspetti della “Teologia della Liberazione”, (1984), cap. V.
[2] Benedetto XVI, Discorso inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi (13 maggio 2007), 3.