MEDITAZIONE

 

 

1. Introduzione
100 anni fa si concludeva la prima guerra mondiale con la firma dell’armistizio e il famoso “bollettino della vittoria” firmato Diaz. Ci si era illusi che l’immane strage che aveva terminato il compimento territoriale del nostro paese, potesse avere avuto anche qualche utilità, interna ed esterna al paese. Nel primo dopoguerra ci si rese conto tragicamente di quanto fosse profetico il giudizio di Benedetto XV, che ebbe il coraggio di chiamare “inutile” quel immane sacrificio di vite umane. Oggi ci troviamo qui a parlare di pace, con la sensazione che la storia sia una maestra di cui si ignora volentieri la lezione.

Come credenti però non possiamo non valorizzare il frutto di pace che il Signore genera nel mondo, attraverso i suoi figli operatori di pace. Anche ai nostri giorni il regno di Dio fa spuntare il segno della sua pace, e ci permette di riconoscerlo nella fede, come del resto solo nella fede si può vedere l’opera di Dio.

Questa fede della Chiesa è espressa in molti modi nella vita del popolo di Dio. Quest’oggi, per la mia sensibilità, mi piace cercare con voi la fede espressa attraverso la preghiera, secondo quell’antico adagio che la regola della fede è stabilita dalla regola della preghiera: Legem credendi lex statuat supplicandi, così almeno Prospero di Aquitania, tra il IV e il V. Oggi, quella consapevolezza antica, si riconosce in un circolo virtuoso, per cui è la preghiera che insegna in cosa crediamo ed è la fede che detta la nostra preghiera: Lex orandi lex credendi.

Se vogliamo vedere qual è la fede della Chiesa in ordine alla pace, alla sua origine, alla sua realizzazione, al suo compimento, abbiamo bisogno di meditare cosa prega la Chiesa quando chiede la pace. È per questo che ci soffermiamo sul formulario della nostra «Messa per la pace e la giustizia».

 

2. Nel Messale Romano Italiano (1983), troviamo alcune orazioni dedicate al tema della pace; si tratta di un formulario con 4 Collette (p. 806-807), presente nel MR1975 (e poi 2002), al quale la versione italiana ha associato il prefazio Comune IX, tipico della nostra edizione.

La Messa è proposta con il titolo Per la pace e la giustizia, mettendo subito in relazione la pace come il frutto che si raggiunge perseguendo la giustizia. Questa titolazione, che è già del Messale Romano, è il frutto della maturazione teologica e pastorale di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II. Anche se è acquisizione antica che la pace sia frutto dell’ordine, e quindi della giustizia, (Agostino parla di tranquillitas ordinis per il conseguimento della pace ), è solo nel dopoguerra e nella carta dei diritti universali dell’uomo (1948) che il rapporto tra giustizia e pace diventa strettissimo. Il pensiero cristiano che aiutò dopo il disastro della seconda guerra mondiale ad immaginare un futuro di pace, ebbe un impulso notevole per l’enciclica pacem in terris (1963) e per la ricezione e lo sviluppo che gaudium et spes potè offrire con il suo autorevole contributo (1965). La via tracciata fu perseguita con insistenza da Paolo VI, con la creazione della giornata mondiale della pace (1968) che divenne occasione di altissimi contributi magistrali in ordine alla pace.

È in questo contesto che nel 1970 e nel 1975 viene alla luce il messale che noi abbiamo in uso nella traduzione italiana dal 1983.

È facile allora leggere nelle orazioni la sensibilità di quegli anni, fatta di grande fiducia nelle capacità umane di raggiungere la pace, di appianare le disuguaglianze, nonostante la guerra fredda e la minaccia nucleare.

 

3. Commento al formulario
L’assemblea convocata per la celebrazione eucaristica è radunata dal desiderio di chiedere e ottenere da Dio il dono della pace.

L’Antifona di Ingresso pone sulle labbra dei fedeli l’invocazione a Dio e la speranza di ricevere da lui la pace. Già da questa prima battuta di avvio, la pace si presenta come processo, cammino, e quindi come il traguardo dell’itinerario nella giustizia, secondo la sensibilità richiamata sopra.

Il popolo cristiano, convocato in santa Assemblea, supplica Dio nella Colletta, e lo riconosce con alcuni preziosi attributi divini. È il creatore di tutto l’universo ed ha una sollecitudine paterna verso le sue creature, nessuna delle quali gli è perciò indifferente. Chiama i suoi figli pacifici, operatori di pace, secondo la nota beatitudine di Matteo (5,9) e quindi lui stesso si definisce la pace. Ma oltre ad uno sguardo originario, e alla identità sua e dei suoi figli, le collette esprimono una consapevolezza anche dell’esito escatologico della storia umana, riconoscendo nel Signore colui che guida i secoli, e li conduce verso il loro approdo salvifico, verso il compimento di bene.

I fedeli che sono radunati per la celebrazione di questa Eucaristia, sono consapevoli che il mondo ha bisogno di questo dono di pace. L’umanità infatti sa di avere un’unica origine in Dio, ma sembra una promessa non mantenuta: è inquieta, conosce chi semina la discordia e chi ama la violenza, senza l’aiuto divino non riesce a realizzare se stessa come una vera famiglia, unita nella concordia e nella pace.

A questa umanità occorre una trasformazione. I fedeli, che sono presenti a questa preghiera, desiderano essere risanati dall’odio che tormenta, di essere resi perseveranti nell’edificazione della pace nella promozione della giustizia per non lasciarsi scoraggiare dai fallimenti. L’obiettivo della pace è essere uniti in Dio, ritrovarsi in lui, come adesso nell’assemblea eucaristica, che tutti unisce nel Signore.

Per ottenere questo risultato, il dono della pace autentica e duratura, essi sanno che devono intraprendere l’itinerario della giustizia, ovvero la realizzazione di processi che compiono la giustizia in questo mondo, nell’attesa che in Dio, si realizzi la pace. Quando nel tempo storico l’umanità sperimenta la pace, riconosce che Dio, nella sua misericordia, ha concesso la sua gioia luminosa.

Forse è utile notare che nella Missa pro pace del Messale tridentino (1570-1962), la pace aveva un carattere prevalentemente spirituale, come il santo desiderio che Dio ispira. Certo si domandava la tranquillità e la difesa da parte del nemico nella protezione divina, ma l’accento principale era sul cuore pacificato e tranquillizzato dalla custodia divina.

Il Messale riformato a norma del Concilio, ha voluto però accantonare questa orazione e proporre le sopra indicate per affermare un nuovo rapporto con il mondo. Citando Gv 14,27, ovvero la pace come la dà il Signore e non come la dà il mondo, la colletta tridentina dava troppo spazio alla interpretazione del mondo in chiave negativa. Negli anni in cui Giovanni XXIII si rivolgeva “a tutti gli uomini di buona volontà”, in cui Gaudium et Spes apprezzava ciò che il mondo era in grado di offrire come inizio del Vangelo e della Redenzione, la citazione suonava come una contrapposizione difficilmente comprensibile. Anche il resto delle orazioni degli antichi sacramentari avevano un concetto di pace molto politico, fatto non solo di tregua bellica, ma anche di supremazia degli stati cristiani (dell’impero romano nei sacramentari più antichi).

La sensibilità postconciliare ha permesso al Messale italiano (1983) di segnalare per la Messa per la pace e la giustizia un prefazio proprio della nostra lingua, il “Comune IX”, dove si celebra l’universalità di Dio e la collaborazione dell’uomo, creato a immagine di Dio e capace di cooperare alla creazione per i doni spirituali e la partecipazione alla missione di Cristo. È celebrata, con queste parole, la grande fiducia di Dio verso l’uomo, che collabora e diventa lui stesso artefice della giustizia e della pace, titolo teologico e cristologico.

Mentre le collette non hanno espresso una cristologia o una pneumologia in relazione al tema della pace, ma tutte fanno riferimento solo all’universalismo di Dio verso gli uomini e la storia, la liturgia eucaristica si concentra sul mistero di Cristo, re della pace (SO) e sull’effusione dello Spirito di carità (PC).

Il sacrificio di Cristo, manifestato nei segni sacramentali del pane e del vino è il mistero di unità e di amore (SO), a cui si è fatto velatamente riferimento nelle collette, perché Cristo ha fatto unità nel suo sacrificio (Ef 2,14) e perché nella croce Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio (Gv 3,14-16) per attirare tutti e unirli a sé (Gv 12,32-33).

Accostandosi al banchetto eucaristico, al canto dell’antifona alla comunione, i fedeli si sentono chiamare beati, proprio perché operatori di pace (Mt 5,9). Sono accolti alla comunione con Cristo e alla partecipazione alla sua vita e missione con la promessa della beatitudine perché, come lui è l’artefice della pace, anche loro possono essere fatti simili al Figlio di Dio nell’operare per la pace (AC 1; cfr. Prefazio IX). L’altra antifona alla comunione riprende il tema giovanneo del dono di pace fatto dal Cristo (Gv 14,27), identificandolo nella consegna del pane e del vino eucaristici. Non c’è la contrapposizione con il mondo, ma solo l’affermazione che Cristo offre la pace. Il canto chiama così “pace” il sacramento di Cristo “nostra pace”, facendo della comunione con lui un invio all’esercizio della sua stessa missione.

Sono le parole che poco prima, nei riti di comunione, il sacerdote ha pronunciato prima dello scambio di pace, «vi lascio la pace, vi do la mia pace» (MRCEI p.419).

Dopo aver ricevuto l’Eucaristica, e avere comunicato al corpo e sangue di Cristo (PC), il fedele chiede ancora di partecipare dello stesso Spirito di Cristo, Spirito di carità, dono del Cristo (PC). L’operosità che genera la pace è possibile per l’azione di questo Spirito, che ha il frutto della pace (Gal 5,22). È parte del dono di Cristo, sua caparra e consegna per realizzare la missione a cui i fedeli sono chiamati, aspirazione che all’inizio nella Colletta era stata espressa.

I fedeli si sentono così chiamati ad essere nel mondo la risposta all’anelito di pace per la famiglia umana, perché a loro il Signore ha lasciato la sua pace, il suo Spirito, il suo sacrificio che ha fatto unità di tutti gli uomini.

 

4. Considerazioni conclusive
Il formulario segna una cesura rispetto alla Missa pro pace tridentina, e un sostanziale abbandono del tema politico della pace che è presente nei sacramentare antichi. Nel desiderio di valorizzare il patrimonio antico della nostra tradizione romana, il liturgista ha comunque recuperato una orazione antica, la “Colletta C”, che viene dal Sacramentario Gelasiano antico del VII secolo e fa riecheggiare i termini cari alla immagine agostiniana di pace: tranquillità, ordine, pace.

Nella nostra considerazione non possiamo dimenticare che queste orazioni sono state pensate in un contesto eucaristico, per cui questi testi si intrecciano agli altri linguaggi rituali e concorrono nell’esperienza religiosa della celebrazione. Proprio questo contesto eucaristico ci porta a vedere esaudita la richiesta della pace e della giustizia realizzata anzitutto dentro la stessa celebrazione, per l’incontro sacramentale con Cristo e la partecipazione alla vita divina trinitaria, espressa e manifestata nella liturgia.

La pace è Dio stesso, è trascendente, è il compimento escatologico della storia individuale e comunitaria dell’umanità. È l’abbraccio paterno e misericordioso che consola e ripaga il cammino del Figlio Unigenito nello Spirito santo. È il frutto della giustizia, perché è l’esito di colui che ha vissuto nella volontà del Padre, “compiendo ogni giustizia” (Mt 3,15). È pace, allora, anche l’azione salvifica del Cristo, che unisce, affratella, pacifica il cielo e la terra (Cfr. Ef 2,14; Col 1,20), estendendo la sua condizione divina e pacificata con l’umanità intera. È pace lo Spirito, che condivide con gli uomini la vita del Signore Gesù Cristo, e li spinge alla giustizia e a realizzare la pace (Gal 5,22).

I fedeli, che nella celebrazione eucaristica si accostano al Mistero della passione morte e risurrezione del Signore, sanno di trovare la pace proprio all’altare del Signore. La celebrano e gli viene consegnata nel cibo eucaristico. Essi , che sono figli di Dio attorno alla mensa del Padre, sanno di essere tali anche perché pacifici e operatori di pace (Mt 5,9) e partecipi di questa missione che estende l’opera di Cristo al mondo, continuamente.

Essi mettono a disposizione anzitutto se stessi, pacificando il proprio cuore, che riparano da quel rancore e da quell’animosità che divide e smentisce l’appartenenza al Signore; quindi operando sinceramente per la giustizia. La comunità cristiana è consapevole che la pace non si compie definitivamente in questo mondo, ma fiorisce pienamente soltanto nell’escaton. La celebrazione le permette di ricordare e contemplare questo traguardo celeste nell’anticipo del banchetto paradisiaco, che gusta nel Mistero. Ma allo stesso tempo la celebrazione diventa sprone per rimuovere gli ostacoli alla pace, soprattutto per combattere le ingiustizie e promuovere il diritto. Il cammino storico dei fedeli, se non può godere pienamente della pace, la può però anticipare e intravvedere proprio per il progresso della giustizia, specie per il diritto più piccoli e i più poveri.

Il diritto del povero è il tratto distintivo di Dio, difensore del misero, al quale manifesta la sua misericordia. La comunità cristiana esercita la misericordia di Dio proprio nell’impegno per la difesa di quel diritto che il debole non è in grado di far valere e che può contare solo sul Signore. La promozione per la giustizia è un segno della misericordia divina, e porta di una gioia senza ombre di cui è disseminato il cammino per la pace.

Don Stefano Culiersi