La pandemia da coronavirus ci ha colti impreparati anche se da più parti non mancavano i presentimenti di possibili sciagure osservando come il comportamento di noi umani ferisce continuamente il nostro pianeta terra. La pandemia ci ha segnati e la cicatrice sembra decisa a durare.Anche noi ci siamo rivolti al Signore domandandogli come mai Dio ha permesso che la torre di Siloe precipitasse e uccidesse 18 persone (cf Lc 13,1-9), come mai un virus così piccolo eppure così feroce riuscisse a sconvolgere l’esistenza di tutta l’umanità. La risposta che Gesù diede agli Apostoli e a quelli che stavano con lui, illumina anche le nostre vicende: “Io vi dico, se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Come pensava Lucia dei Promessi Sposi, Dio nostro Padre non ci affligge di una sofferenza se non per darci un bene maggiore. Ancora intrappolati nella maglie della pandemia, non riusciamo a vedere con chiarezza il bene maggiore anche se la parola di Gesù ci parla di invito alla conversione.
Corriamo il rischio, una volta superato il pericolo, di dimenticare il senso, il messaggio. Comunque di sicuro gli avvenimenti che stiamo vivendo ci chiamano a conversione, ad uscire dallo stile di vita in cui siamo immersi fino al collo. Viviamo come se tutto dipendesse da noi, come se fossimo indispensabili alla vita dei popoli, padroni del mondo, e tutto fosse a nostra disposizione per soddisfare i nostri presunti bisogni. Un virus piccolo, invisibile ad occhio nudo, ci ha dato una sberla, riportandoci alla nostra vera dimensione: ci ha ricordato che noi siamo creature, che Dio solo è il Signore che sostiene l’universo e la nostra vita. Da soli, se Lui per un istante smettesse di amarci, noi piomberemmo nel nulla. Se la sua misericordia venisse meno, noi saremmo smarriti perché siamo creature fragili, inclinate al male e solo il suo perdono ci sostiene e non ci fa disperare. Abbiamo bisogno di Uno che ci ami e ci accolga come siamo e ci avvolga stabilmente della sua misericordia. Come il Signore rivelò aMosè sulMonte Sinai, questo è il nome proprio del nostro Dio: Il Signore passò davanti a lui, proclamando “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato” (Es 34, 6-7).
Il perdono è un aspetto fondamentale dell’amore di Dio che è un amore libero, superiore alle nostre infedeltà, che mai viene meno perché si fonda su Dio e non sulle nostre debolezze. Incontrati dal perdono del Signore, noi veniamo risanati, ritroviamo la nostra dignità di figli di Dio e diveniamo capaci di amare e perdonare con gli occhi puntati sul comportamento del Padre: “come il Padre nostro che è misericordioso” (cf. Mt 5, 45- 48).
Il perdono come è il nome di Dio, per opera dello Spirito Santo, diventa un’attitudine del cristiano. E come disse Papa Francesco in una visita alla Porziuncola il 24 aprile 2019, Gesù inserisce nei rapporti umani la forza del perdono che solo può cambiare la convivenza umana, creando rapporti nuovi.
Diceva il Papa: “Nella vita non tutto si risolve con la giustizia. Soprattutto laddove si deve mettere un argine al male, qualcuno deve amare oltre il dovuto, per ricominciare una storia di grazia”.
Annunciando l’Indulgenza del Perdono davanti ai Vescovi dell’Umbria e a tante persone, S. Francesco con tutto il suo entusiasmo disse: “Voglio mandarvi tutti in Paradiso!”. Non pensava certo alla Indulgenza come a un atto magico, ma come all’accoglienza di un dono di Dio che così veniva a cambiare il cuore delle persone, a convertirle e a far intraprendere la via per la salvezza, la via del Paradiso.

P. Lorenzo Di Giuseppe

 

IL PERDONO GENERA PARADISO

Dalla meditazione di Papa Francesco per l’ VIII Centenario del Perdono di Assisi

Mi piace ricordare oggi, cari fratelli e sorelle, prima di tutto, le parole che, secondo un’antica tradizione, san Francesco pronunciò proprio qui, davanti a tutto il popolo e ai vescovi: “Voglio mandarvi tutti in paradiso!”.
Cosa poteva chiedere di più bello il Poverello di Assisi, se non il dono della salvezza, della vita eterna con Dio e della gioia senza fine, che Gesù ci ha acquistato con la sua morte e risurrezione?
Il paradiso, d’altronde, che cos’è se non il mistero di amore che ci lega per sempre a Dio per contemplarlo senza fine? La Chiesa da sempre professa questa fede quando dice di credere nella comunione dei santi. Non siamo mai soli nel vivere la fede; ci fanno compagnia i santi e i beati, anche i nostri cari che hanno vissuto con semplicità e gioia la fede e l’hanno testimoniata nella loro vita. C’è un legame invisibile, ma non per questo meno reale, che ci fa essere “un solo corpo”, in forza dell’unico Battesimo ricevuto, animati da “un solo Spirito” (cfr Ef 4,4). Forse san Francesco, quando chiedeva a Papa Onorio III il dono dell’indulgenza per quanti venivano alla Porziuncola, aveva in mente quelle parole di Gesù ai discepoli: «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?
Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,2-3).
Quella del perdono è certamente la strada maestra da seguire per raggiungere quel posto in Paradiso. E’ difficile perdonare! Quanto costa, a noi, perdonare gli altri! Pensiamoci un po’. E qui alla Porziuncola tutto parla di perdono! Che grande regalo ci ha fatto il Signore insegnandoci a perdonare – o, almeno, ad avere la volontà di perdonare – per farci toccare con mano la misericordia del Padre! Abbiamo ascoltato la parabola con la quale Gesù ci insegna a perdonare (cfr Mt 18,21-35). Perché dovremmo perdonare una persona che ci ha fatto del male? Perché noi per primi siamo stati perdonati, e infinitamente di più. Non c’è nessuno fra noi, qui, che non sia stato perdonato.
Ognuno pensi… come il Signore ci ha perdonato. La parabola ci dice proprio questo: come Dio perdona noi, così anche noi dobbiamo perdonare chi ci fa del male. È la carezza del perdono. Il cuore che perdona. Il cuore che perdona accarezza. Tanto lontano da quel gesto: “me la pagherai!” Il perdono è un’altra cosa.
Precisamente come nella preghiera che Gesù ci ha insegnato, il Padre Nostro, quando diciamo: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». I debiti sono i nostri peccati davanti a Dio, e i nostri debitori sono quelli a cui anche noi dobbiamo perdonare.
Ognuno di noi potrebbe essere quel servo della parabola che ha un grande debito da saldare, ma talmente grande che non potrebbe mai farcela. Anche noi, quando nel confessionale ci mettiamo in ginocchio davanti al sacerdote, non facciamo altro che ripetere lo stesso gesto del servo. Diciamo: “Signore, abbi pazienza con me”… Sappiamo bene, infatti, che siamo pieni di difetti e ricadiamo spesso negli stessi peccati. Eppure, Dio non si stanca di offrire sempre il suo perdono ogni volta che lo chiediamo. È un perdono pieno, totale, con il quale ci dà certezza che, nonostante possiamo ricadere negli stessi peccati, Lui ha pietà di noi e non smette di amarci. Come il padrone della parabola, Dio si impietosisce, cioè prova un sentimento di pietà unito alla tenerezza: è un’espressione per indicare la sua misericordia nei nostri confronti. Il nostro Padre, infatti, si impietosisce sempre quando siamo pentiti, e ci rimanda a casa con il cuore tranquillo e sereno dicendoci che ci ha condonato ogni cosa e perdonato tutto. Il perdono di Dio non conosce limiti; va oltre ogni nostra immaginazione e raggiunge chiunque, nell’intimo del cuore, riconosce di avere sbagliato e vuole ritornare a Lui. Dio guarda al cuore che chiede di essere perdonato…
Cari fratelli e sorelle, il perdono di cui san Francesco si è fatto “canale” qui alla Porziuncola continua a “generare paradiso” ancora dopo otto secoli… Chiediamo a san Francesco che interceda per noi, perché mai rinunciamo ad essere umili segni di perdono e strumenti di misericordia.