Nell’occasione della Festa di S. Francesco e del suo beato Transito, P. Lorenzo Di Giuseppe ci ricorda, a partire dalle parole del Testamento di S. Francesco, l’importanza di quella via di penitenza che il Signore gli ha rivelato e che non può trattenere per sé poiché come “servo di tutti” si sente “tenuto a servire e ad amministrare a tutti le fragranti parole del Signore Gesù” (FF 180). Con la “Lettera ai fedeli” (FF 178/1-7) egli così partecipa anche ai laici questa via di salvezza, che ci consegna come parole di “spirito e vita”.
Nel Testamento S. Francesco, parlando del suo cambiamento di vita, dice: “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare così a fare penitenza” (FF 110). Il Signore guidò Francesco ad abbracciare un lebbroso, cosa ritenuta prima da lui impossibile. Questa esperienza cambiò radicalmente il suo intimo e dice Francesco “in seguito, stetti un poco e uscii dal mondo” (ib.).
Uscì dal mondo, cioè da una vita incentrata su se stesso, sul guadagno e il raggiungimento della gloria; e la sua vita si pose in un cammino continuo di penitenza, un modo nuovo di pensare, di amare e di agire.
Nella “Lettera ai fedeli” S. Francesco parla di “coloro che fanno penitenza e di coloro che non fanno penitenza”; cioè di coloro che hanno rivolto la loro vita al Signore e di coloro che mettono al centro il proprio io.
Abbiamo bisogno di ripensare alle scelte fatte e al discorso sulla penitenza che ordinariamente fa pensare ad una vita macerata dai digiuni, dalle mortificazioni, una vita triste, senza il sorriso. Sappiamo che S. Francesco al contrario era persona piena di letizia.
Nella “Lettera ai fedeli” parla di beatitudine, di felicità.
La via della penitenza è certamente uscire dalla gioia sfrenata, dai piaceri del mondo. Ma è soprattutto l’intimo cambiamento del cuore e di tutta la vita, significa spogliarsi dell’uomo vecchio e assumere l’uomo nuovo che ha come riferimento Gesù Cristo, e che benedice Dio e sempre cerca di fare la sua volontà, vive nella povertà e nell’attenzione a tutti i fratelli, in particolare ai più deboli e poveri.
Fare penitenza è avere coscienza del peccato e porre Cristo al centro del proprio essere e del proprio valorizzare (V.C. Bigi, La via della penitenza in Francesco d’Assisi).
Fare penitenza è non conformarsi alla mentalità mondana che mette il profitto al di sopra di tutto. Fare penitenza è scegliere di vivere con umiltà e spirito di servizio nella condizione di vita nella quale il Signore ci ha chiamati. Fare penitenza è essere presenti responsabilmente alla vita in famiglia, vivendo la vocazione all’amore, accettando ogni giorno l’altro e perdonandolo quando ce ne fosse bisogno. Fare penitenza è accettare il lavoro quotidiano come grazia e farlo con “fedeltà e devozione”, coinvolgendo la propria interiorità in spirito di partecipazione alla cura del creato e al bene dei fratelli; è vivere la professione nella legalità e nell’attenzione agli ultimi e al creato.
Fare penitenza è custodire in ogni luogo secondo le proprie possibilità, in comunione con la Chiesa e con tutti gli uomini di buona volontà, la dignità dell’uomo, prendersi cura del bene comune per contribuire ad edificare la convivenza umana sul principio di fraternità.
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La penitenza non è stare fermi, passivi: è un movimento, un cammino, un uscire, un liberarsi. L’immagine biblica che meglio esprime la realtà della penitenza è il cammino dell’Esodo. L’esperienza di un faraone che opprime sotto una dura schiavitù esprime bene la condizione dell’uomo caduto nel peccato e divenuto schiavo.
L’uomo da solo può soltanto gemere perché la vita lontana da Dio, è una vita povera, senza senso. Il Padre ascolta il gemito e prende l’iniziativa di mandare un Salvatore: di mandare Mosè, di mandare Gesù Cristo, che diventa uomo, e con la sua dedizione totale al Padre apre una via di uscita per l’uomo che è invitato a mettersi in un cammino verso una terra promessa. Sarà un cammino difficile, si tratta di attraversare il deserto dove si sperimenta stanchezza, fame e sete. È la via della penitenza che seguendo Cristo ci porta alla libertà e alla nostra dignità, via faticosa e piena di pericoli. Questo ci spiega le parole di Gesù che parla di una porta stretta e ci spiega anche la severità di S. Francesco verso tutto quello che non porta a recuperare in sè quella immagine e similitudine di Cristo che fonda la nostra incommensurabile dignità.
p. Lorenzo Di Giuseppe