Don Virgilio Colmegnia
Prosegue il dibattito iniziato con l’appello lanciato da Giuliano Amato sulle pagine di Vita: quale ruolo politico per il Terzo settore? Risponde Don Virginio Colmegnia, Presidente della Casa della Carità.
C’è un capitale enorme, nel nostro Paese: è tutta l’energia sociale, culturale, di partecipazione, di cura dell’ambiente nella sua complessità. Un capitale di relazioni e sapere che impropriamente chiamiamo Terzo settore, ma è soprattutto gente. Gente che si impegna in imprese sociali, cooperative, ma soprattutto nel mettere a disposizione di tutti il valore della solidarietà. La solidarietà, carica di questa energia, è un patrimonio che va investito nella Politica. La Politica con la “P” maiuscola.
Parlando di Politica non si può continuare a citare il Terzo settore come rappresentante di una cultura testimoniale. Solo la politica con la “p” minuscola potrebbe farlo. Il mondo del Terzo settore, infatti, è ben altro che “testimonianza”. Il mondo del Terzo settore parte dalla centralità delle persone – e, in particolare, delle persone fragili – e ha dentro di sé un valore alto, di carattere anche spirituale, di senso, di appartenenza, di giustizia e di uguaglianza. Un valore… Politico! Un senso e un valore che fremono davanti al moltiplicarsi delle disuguaglianze e alla devastazione della natura. La ricchezza, come mostrano la Laudato si’ e la Fratelli tutti di Papa Francesco, ha bisogno di un principio. Ecco il principio: essere produttori di un bene comune.
C’è una domanda Politica di senso, e di senso per la Politica. Il Terzo settore non va chiamato in causa – e non deve farsi chiamare in causa – solo come buon testimone. Il tema politico, per il Terzo settore, è quello della cogestione, ma soprattutto della coprogettazione. Che cosa ci dice la coprogettazione? Ci dice che dentro un nuovo paradigma c’è tutta la capacità di riforma che deve, grazie al Terzo settore, investire la Politica: chiamare ai grandi valori e chiamarli, al contempo, alla loro traduzione concreta. Una traduzione concreta che richiede pazienza. La pazienza nella costruzione di una nuova storia.
La pace, la giustizia sociale, l’ambiente, la gratuità, il volontariato: sono tutti temi di densità politica. Abbiamo bisogno di Politica. Ma la Politica del Terzo settore non può limitarsi a un compito gestionale o di rimpiazzo delle élites: ricadrebbe subito nell’autoreferenzialità che da anni lo affligge. Politica, per il Terzo settore, significa essere anticipatore di processi sociali e di processi di giustizia.
Dopo la pandemia, in un periodo che ha fatto intravedere il senso del limite e della debolezza, abbiamo ancora più bisogno delle risorse politiche del Terzo settore. Il Terzo settore deve porre con forza una questione, affermando che «nulla sarà più come prima!». Ma non in senso negativo, in senso di slancio. Il Terzo settore – soprattutto quello italiano, radicato nel territorio e disseminato nelle piccole realtà, in un trama continua di solidarietà sociale – è protagonista di cultura. Anche nel Recovery Fund viene citato sempre in termini marginali, il Terzo settore è collettore di intelligenza, di formazione, di capacità di anticipare e guidare i processi. Anche quelli di digitalizzazione, nella loro inevitabile matrice inclusiva o di esclusione. Il Terzo settore, però, deve fare la sua parte. Deve abbandonare la retorica del “buono”. Il Terzo settore non è la risorsa che è perché “è buono”. Lo è per la qualità sociale, morale, relazionale del lavoro che fa.
Ma proprio per questo, il Terzo settore deve abbandonare da un lato la retorica del “buono”, dall’altro la prassi unicamente gestionale. Giusta la gestione, giusta l’advocacy… ma non basta. Non serve.
Il Terzo settore ha bisogno di respirare e liberare energia, partendo da un punto preciso: la sua matrice è nella lotta alle disuguaglianze. Solo impegnandosi – e qui sta tutto il senso della parola “Politica” – in questa lotta si produce giustizia sociale, si genera futuro. La sfida è dunque questa: aprire il Terzo settore, per aprire la Politica e riportarla a quella cura della casa comune che, ad oggi, sembra aver smarrito.
Forse consisteva proprio in questo l’appello di Giuliano Amato.
Testo raccolto da Marco Dotti, “Vita”