Predestinati all’amore
Il francescano Giovanni Duns Scoto (1265-1308) è il filosofo e teologo del primato dell’amore nei confronti dell’intelligenza e della ragione. E questo è notevole se affermato da un pensatore come lui, chiamato “Dottor Sottile” per la sua capacità di critica delle posizioni degli altri e di critica della critica ed infine di critica della critica della critica. Egli ha un senso incredibile di problematizzazione. Eppure è il filosofo della volontà, dell’infinito, dell’amore. La predestinazione per lui consiste nella volontà di Dio di comunicare il proprio amore: Dio vuole avere altri amanti che lo amino; vuole che il suo amore sia come seme, germe di vita negli altri.
Se si pone la predestinazione nell’intelletto divino, abbiamo degli oggetti passivi che sono guardati dall’intelletto. Se invece si vede la predestinazione come atto di volontà, cioè come comunicazione d’amore, si nobilita il termine di questo amore a soggetto amante, perché l’amore non oggettiva mai, ma soggettiva sempre. Le persone, per Scoto, non sono degli oggetti davanti a Dio, ma dei soggetti amanti che amano Colui che li ha amati per primo.
È proprio dell’amore non essere solitario, ma volersi comunicare all’infinito. L’amore divino, comunicandosi nella sfera divina, sovrabbonda tale sfera e vuole porsi al di fuori di essa. La creazione delle creature è un atto di questo esprimersi dell’amore infinito che non conosce limiti.
Questa fondamentale presenza di Dio come amore che si comunica, che eleva la creatura a sua amante, questa in Scoto è la predestinazione.
La predestinazione non è essere destinati fin dalla nascita all’inferno o al paradiso. Questo discorso per Scoto non ha senso. La creatura è predestinata ad essere densità d’amore di Dio che la rende soggetto che può riamare Dio di quell’amore che Egli le ha dato per misericordia e di cui è costituita.
E allora come spiegare i reprobi? Dio li permette, pur non avendoli avuti nella sua primaria intenzione.
La sua primaria intenzione è la predestinazione alla gloria di Cristo e di tutti gli eletti per i meriti di Cristo.
La seconda intenzione di Dio è preoccuparsi dei reprobi per i quali il Verbo eterno assume la sofferenza, la croce in vista della redenzione.
La predestinazione è assoluta: non ha nessun movente esterno. Non c’è merito né demerito della creatura di fronte all’atto dell’amore divino che si pone nella creatura stessa perché lo possa amare.
Non c’è merito né demerito, perché io non sono buono e perciò Dio mi ama, ma Dio mi ama e perciò io sono buono. L’amore è sempre l’origine.
Dio non si chiude in se stesso egoisticamente, ma si diffonde oltre se stesso, per rendere partecipi della sua gloria tutti i predestinati all’esistere.
Tra i predestinati Cristo è il primo voluto dalla S.S. Trinità. Egli è Colui che può amare Dio di un sommo amore estrinseco a Lui e uguale al suo.
Secondo Scoto c’è un ordine, una gradazione nella predestinazione: Cristo è predestinato prima di ogni creatura, indipendentemente dal peccato dell’uomo. Egli è il primo voluto di questa predestinazione all’esistere in vista della glorificazione.
Cristo è il primo voluto, Maria è la seconda voluta
Cristo è il primo voluto. Questa affermazione fonda in Scoto la dottrina dell’Immacolata Concezione perché la seconda voluta è la Madre di Cristo prevista prima di Eva, come Cristo è stato previsto prima e indipendentemente dal peccato di Adamo. Maria non è figlia di Eva. Come Cristo è stato concepito per opera dello Spirito Santo, senza colpa originale, così, per Scoto, anche Maria riveste questa dignità.
Nel concepimento di Maria non si unisce solo l’anima al corpo, ma anche la grazia divina.
Nel Battesimo la persona, nonostante sia stata concepita nel peccato originale, per grazia viene liberata dal peccato. Perché allora non ammettere che questo sia accaduto subito per la Madre di Dio? È un mistero di comunione con Dio da parte di questa creatura.
Per Scoto era bello e decoroso che Maria fosse concepita senza peccato originale, perché si trattava della Madre del Figlio di Dio, che non poteva essere soggetta al demonio neanche per un istante. Se era decoroso farlo, Dio lo fece (“potuit, decuit ergo fecit”).
Significativo è che Maria abbia rivelato se stessa come Immacolata Concezione non a un teologo, ma all’umile Bernadette, a riprova del carattere popolare di questa verità di fede che, specialmente in oriente, è stata vissuta nell’anima orante del popolo.
E il santuario di Lourdes è il santuario della misericordia, perché l’Immacolata Concezione è espressione della misericordia di Dio nel mondo.
Lucia Baldo
L’Immacolata Concezione trovò nel corso dei secoli una forte opposizione. Teologi illustri tra cui spicca S. Tommaso d’Aquino, non l’accettavano perché pensavano che se Maria fosse nata senza peccato avrebbe oscurato l’opera salvifica del Figlio.
Scoto fu chiamato il “martire dell’Immacolata Concezione” proprio perché sopportò il peso di tutto l’accanimento contro tale dogma.
Fu necessario aspettare la V Sessione del Concilio di Trento (1546) perché fosse pronunciata una formula, detta “definizione in via negativa” in base alla quale, nella dottrina sul peccato originale, viene esclusa Maria. Ma solo l’8 dicembre 1854 è stato proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione da Pio IX con la Bolla “Ineffabilis Deus”, e il 20 marzo 1993 S. Giovanni Paolo II ha beatificato il “Dottor Mariano” Giovanni Duns Scoto, attribuendo al grande pensatore francescano il merito di aver guidato la Chiesa sulla strada del riconoscimento del dogma dell’Immacolata Concezione.Il Cantico