In occasione della 4^ Giornata Mondiale dei Poveri “Tendi la tua mano al povero”,
alla vigilia della Festa di S. Elisabetta, nostra patrona, vogliamo riportare al cuore la testimonianza evangelica di questa degna figlia di S. Francesco, che si è fatta povera tra i poveri,
seminando speranza nelle situazioni più disparatedi emarginazione e di abbandono.
Noi come suoi figli, siamo chiamati a metterci in cammino!
A tutti Buona Festa!

Fraternità Francescana Frate Jacopa

 

 

Elisabetta d’Ungheria (1207-1231) era figlia del re d’Ungheria Andrea II. All’età di 4 anni fu promessa sposa a Lodovico IV figlio del langravio di Turingia che sposò all’età di 14 anni. Da questo matrimonio nacquero tre figli: Ermanno, Sofia e Gertrude. Anche se combinato, fu un matrimonio felice. Ma nel 1227 a Otranto, mentre era in viaggio per la VI crociata, il marito morì. Fu così che a 20 anni Elisabetta rimase vedova.
Elisabetta anche in tutta la prima parte della sua vita accanto a Lodovico non esitò ad andare tra i poveri, a vedere con i propri occhi la loro condizione per comprenderla e farsene carico. Non esitò a compromettersi, a mettersi in campo per potersi prendere cura dei più deboli, di quelli che nessuno cura. Non esitò a farsi loro voce, a lenire in ogni modo possibile la loro miseria, se non altro con la sua vicinanza.
Dopo la morte del marito, il suo confessore Corrado di Marburgo la dissuase dal rinunciare a tutti i suoi possedimenti per pagare i debiti del marito e poter continuare a fare elargizioni ai poveri. Ma quando egli le volle proibire di andare di porta in porta a chiedere l’elemosina per i poveri, ella si rifiutò di obbedirgli. E quando il confessore le ingiunse di non dare ai poveri più di un denaro alla volta, Elisabetta ne dava uno più volte, esercitando sempre un’obbedienza “creativa”.
A Marburgo costruì un ospedale dedicato a S. Francesco. Accoglieva alla sua stessa mensa i deboli e gli infermi, perché da essi diceva di ricevere una singolare grazia. E ciò le era necessario per “curare i contrari con i contrari”, ovvero il lusso della vita di corte con la povertà dei più derelitti.Arrivò al punto di ospitare una lebbrosa di nascosto in casa. Corrado che, nonostante i continui richiami in cuor suo l’ammirava, quando Elisabetta fu prossima alla morte a soli 24 anni, le chiese come volesse disporre dei suoi beni, ottenne in risposta che voleva destinare tutto ai poveri, ad eccezione di una vile tunica della quale voleva essere rivestita da morta.
A quel tempo era considerato connaturale all’animo femminile, soprattutto di chi vestiva l’abito francescano della penitenza, dedicarsi a opere caritatevoli verso i più poveri. Era uno degli ambiti operativi consentiti e caldeggiati alle donne.
Ma qual è l’originalità con cui Elisabetta esercitava le opere caritatevoli, al punto da poterla chiamare “madre dei poveri”?
Viene in mente la frase del Testamento di S. Francesco, a proposito dei lebbrosi: “E usai con essi misericordia”.
Questa frase non significa solo che S. Francesco curò le piaghe dei lebbrosi e le deterse a scopo terapeutico e igienico, ma che trattò il lebbroso, segno dell’emarginazione e dell’isolamento più marcati nella società di allora, come un fratello, cioè come un suo pari, anzi un eletto che sembrava incarnare in modo privilegiato la passione di Cristo reietto dagli uomini. Il bacio al lebbroso è segno di questa piena accoglienza del fratello in spirito di comunione fraterna. Il lebbroso con S. Francesco non si sentiva più un morto vivente, ma un soggetto che aveva molto da donare e non solo da ricevere dal Santo. Allo stesso modo Elisabetta si fece misericordiosa con i più poveri e derelitti perché diceva che “da loro riceveva una speciale grazia e umiltà”.
Elisabetta voleva farsi povera piuttosto che fare beneficenza. Le ancelle attestano che nel suo palazzo si vestiva di vile mantello, si copriva il capo con un velo povero e con questo abbigliamento voleva andare di porta in porta a chiedere l’elemosina.
Molti sono i fatti che testimoniano la generosità di Elisabetta, che il suo confessore chiamava “prodigalità”. Ricordiamo che durante la carestia che colpì la Germania al momento della partenza di suo marito per la VI crociata, Elisabetta trasformò il suo castello di Wartburg in ospedale ed erogò doni in tutto il Paese. Inoltre diede in beneficenza tutti i proventi dei quattro principati di suo marito.
Vendette oggetti di valore e vesti preziose, dandone il ricavato ai poveri.
Non faceva assistenzialismo, ma consegnava a tutti quelli che potevano lavorare le falci per mietere affinché potessero alimentarsi col proprio lavoro.
Le sue ancelle testimoniano che Elisabetta raccolse un ragazzo povero paralitico, orfano che soffriva di continue emorragie. Prese con sé di nascosto un mendicante infermo dall’aspetto orribile, sofferente di malattia al capo.
Con le proprie mani ne recise i capelli imbrattati tenendo la sua testa reclinata sopra il proprio grembo. Lavò il capo di lui nel lavabo privato per sfuggire a occhi indiscreti. Ripresa dalle ancelle rispondeva con un sorriso. E quando lavava i malati con le sue mani, diceva: “Come è bello per noi fare il bagno al Signore e toccarlo!”.
Questa letizia francescana di Elisabetta era espressione della beatitudine di una donna che aveva fatto di Cristo il centro della sua vita in ogni atto e in ogni relazione con i fratelli e le sorelle. La sua letizia era anche espressione di pace vera in lei che è ricordata come donna “veramente pacifica” secondo lo spirito di S. Francesco che nella XV Ammonizione dice: “Sono veri pacifici quelli che di tutte le cose che sopportano in questo mondo per amore del Signore Nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell’anima e nel corpo”.

Lucia Baldo