Convegno “Transizione ecologica: quali percorsi (Bologna 15 maggio 2022)

Relazione del Prof. Leonardo Becchetti

PREMESSA
Dall’anno zero al 2020 la rivoluzione industriale ha prodotto progressi spettacolari in termini di crescita economica, aspettativa di vita e aumento esponenziale della popolazione mondiale. Un grande successo dettato dal progresso scientifico e dalla rivoluzione industriale per creare condizioni con un potenziale di molti più anni di vita. Questo però ci porta ai limiti del pianeta. Prendo per buono quello che diceva anche il Prof. Prodi che non siamo sicuri al 100% che tutto l’aumento del riscaldamento registrato negli ultimi anni, e quello che temiamo per i prossimi anni, possa dipendere da fattori antropici. Sappiamo certamente che la concentrazione di Co2 in atmosfera – che è considerato il principale canale attraverso cui l’intervento umano e l’azione umana incidono sul riscaldamento – è in aumento. Purtroppo il problema del riscaldamento globale è connesso ad un fattore di stock.
Anche se noi ridurremo le emissioni o azzereremo le emissioni entro il 2050, lo stock di Co2 nell’atmosfera si diraderà molto lentamente. Speriamo che entrino in campo altri elementi compensativi per evitare che tutto questo si trasformi in aumento di temperatura ma non possiamo certo fare affidamento su questo e non intervenire.
Come spiegherò nella mia relazione, in realtà non è questo l’unico motivo per cui stiamo facendo quello che dobbiamo fare. Abbiamo un problema enorme anche di comprensione, vale a dire che la vita economica, le scelte di cittadini e imprese inizino ad essere comprese in rapporto a qualcosa di più grande che ci avvolge, l’ecosistema, che scambia con noi i servizi fondamentali per la nostra vita come la qualità dell’aria, la qualità dell’acqua e la fertilità dei suoli che ci danno qualcosa che, se valutassimo a valori di mercato, sarebbe superiore al Pil mondiale. Abbiamo quindi il dovere di mantenere quelle che sono le condizioni necessarie per la vita.
Il problema ambientale della sostenibilità multidimensionale non è solo quello del riscaldamento.
C’è un problema molto importante che è quello della qualità dell’aria. Noi sappiamo che la bassa qualità dell’aria indebolisce e crea una serie di malattie polmonari e cardiocircolatorie, e soprattutto indebolisce polmoni e alveoli. Con la pandemia queste evidenze sono state messe in relazione anche con la situazione del nostro paese. Abbiamo una concentrazione di polveri sottili della PM 2,5 e PM 10 nell’aria molto molto elevata, superiore ai limiti stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per più giorni all’anno soprattutto nella Pianura Padana dove l’aria ristagna e la qualità dell’aria è peggiore.
Mettendo in relazione le policy, assieme a una serie di altri fattori tra cui il pendolarismo, e tante altre cose, quali l’eccesso di morti durante la pandemia, si evidenzia una relazione molto significativa, soprattutto con gli effetti della prima ondata nella pianura Padana.
Indipendentemente dal legame col Covid, la scarsa qualità dell’aria è considerata oggi il secondo fattore di mortalità nel mondo e in Italia, indipendentemente dal Covid, ogni giorno si calcola ci siano almeno 218 morti per cause riconducibili alle polvere sottili.
Se noi dobbiamo fare una scelta sulla direzione in cui andare dal punto di vista ecologico, questa scelta va fatta considerando almeno 5 criteri:
1. Il clima (riscaldamento globale)
2. La salute (effetto qualità dell’aria sulla salute)
3. I prezzi (convenienza economica di un certo utilizzo di fonti di energia)
4. Volatilità dei prezzi (quanto l’esplosione dei prezzi, in alto e in basso, crei condizioni di incertezza per svolgere le attività economiche, condizioni di incertezza derivanti dalla volatilità dei prezzi dell’energia che oggi sta avendo effetti importanti sull’inflazione).
5. Indipendenza strategica (oggi sappiamo che c’è un problema: c’è la questione del non dipendere nelle fonti di energia da altri paesi).
Anche sul fatto della non totale certezza che il riscaldamento climatico possa essere generato dall’aumento delle emissioni, dall’intervento antropico, possiamo usare sempre e comunque un principio di precauzione. A questo proposito porto una esemplificazione: se vi offrissero un piatto al ristorante e il cameriere vi dicesse che all’80% quel piatto potrebbe contenere un veleno, probabilmente quel piatto lo rimandereste indietro. Nella realtà dei fatti noi non prendiamo scelte di policy solo quando siamo sicuri al 100% di qualcosa, ma lo facciamo anche quando abbiamo una probabilità molto alta che sia così.
Questi 5 criteri univocamente ci dicono che le fonti rinnovabili sono molto meglio delle fonti fossili. Le fonti fossili fanno molto peggio delle rinnovabili in termini di emissioni climalteranti. Il tasso di incidenza e mortalità sulla qualità dell’aria ci dice che il peggio di tutti lo fa il carbone poi il petrolio, il gas naturale, l’energia nucleare. Le fonti migliori sono il vento e il sole.
Guardando i prezzi, in questi ultimi anni c’è stato un crollo dei prezzi di produzione del solare e fotovoltaico e nell’eolico, soprattutto quello a terra.
Oggi le fonti di energia meno costose sono sicuramente il fotovoltaico e l’eolico. L’energia nucleare da questo punto di vista perde nella convenienza, perché i costi della sicurezza delle centrali sono molto alti, e in particolare se consideriamo la necessità di creare nuovi impianti. Il prezzo dell’eolico e del fotovoltaico sono sempre i migliori. Di volatilità è inutile che ne parliamo; siamo sopra i 100 dollari al barile e tutto questo sta portando soldi nelle casse di Putin, che comincia a fare utili con un prezzo del gas al di sopra di 46 dollari.
Per l’indipendenza strategica Gutteres (Segretario dell’ONU) ci dice che la guerra in Ucraina ha dimostrato che la dipendenza globale dalle fonti fossili sta mettendo la sicurezza energetica, il clima e l’intera economia globale alla mercé della geopolitica. Tutti i paesi hanno bisogno di fare una transizione rapida verso le fonti rinnovabili.
È paradossale che considerando tutte queste cose e questi criteri noi italiani non corriamo il più velocemente possibile nella direzione giusta. Per usare una metafora: noi siamo “l’Arabia Saudita del sole e del vento” e invece dipendiamo da altri paesi che ci forniscono le fonti fossili che noi utilizziamo come fonti di energia. Come se un paese ricco di pesce, invece di investire nelle canne da pesca e nei pescherecci, comprasse questi pesci a carissimo prezzo da altri paesi.

1. COSA VUOL DIRE QUESTA TRANSIZIONE?
Chiaramente quando parliamo di emissioni la questione fondamentale è cambiare le fonti di produzione di energia. Sono diversi i modi in cui noi produciamo le emissioni di Co2: il 55% deriva da come produciamo energia, le emissioni in altri ambiti riguardano l’industria l’8%, i trasporti il 25%..
Pensate all’auto che può essere elettrica, ma l’elettricità può essere prodotta da centrale a gas o da centrale a carbone. Quindi anche in tutti gli altri settori la questione delle fonti di energia è una questione centrale.
L’obiettivo, il sentiero indicato è questo: dal 2020 al 2050 fondamentalmente, per arrivare all’obiettivo di zero emissioni nette, dovremmo cambiare la nostra mobilità, muovere verso la mobilità elettrica, o verso la mobilità dolce (sharing), dovremmo cambiare il modo di riscaldare le nostre case.Questo è un punto molto importante perché pensate che tra il 50-60% delle generazione delle polvere sottili in pianura Padana dipende dal modo in cui riscaldiamo le case.
Quindi passare ad esempio alle pompe di calore, come suggerisce l’Agenzia internazionale del clima, vuol dire ridurre sia il problema delle emissioni sia il problema delle polveri sottili. Questo obbiettivo è diventato ancora più stringente dopo la crisi russoucraina perché se prima si diceva che entro il 2030 dovevamo arrivare a ridurre fondamentalmente la nostra dipendenza dal gas e petrolio, oggi stiamo parlando di eliminare questa dipendenza nel giro di due anni, due anni e mezzo, per quanto riguarda il gas russo che fa il 19% delle nostre fonti di energia. Il 16% delle fonti di energia viene dall’eolico e dal fotovoltaico e il 16% viene dall’idroelettrico. Questa è l’ipotesi nella strategia italiana, che prevede nel 2050 di fare quasi a meno di gas, carbone e petrolio.
Tenete conto che se noi oggi siamo al 16%, un paese come la Norvegia è al 66% delle energie prodotte da fonti rinnovabili e quindi noi abbiamo importanti spazi di movimento.
Quali sono le policy? L’Unione Europea parla di questa tassonomia e ha stabilito che ogni progetto finanziato nel PNRR debba rispettare il principio del non peggiorare la situazione in una di queste 6 dimensioni, che sono quelle considerate fondamentali per il clima.
Ecco le 6 dimensioni:
1. Mitigazione ai cambiamenti climatici,
2. adattamento ai cambiamenti climatici,
3. uso sostenibile dell’acqua e delle risorse marine
4. prevenzione dell’inquinamento (parliamo della qualità dell’aria),
5. tutela degli ecosistemi,
6. economia circolare.
L’economia circolare è il metodo che dovremmo adottare per risolvere il problema. Noi dobbiamo fondamentalmente tenere assieme il desiderio dell’economista, che è quello di creare più valore per combattere povertà, disuguaglianza ecc. e quello dell’ambientalista che dice che dobbiamo produrre di meno e consumare di meno.
La risposta che concilia le due prospettive è quella di disallineare la creazione di valore economico dalla distruzione di risorse naturali. In che modo?
Spostando la creazione di valore molto più sulla fornitura di servizi che sulla produzione di beni; aumentando la quota di materia seconda come input di produzione, quindi più riuso, riciclo, rigenerazione quando facciamo dei nuovi prodotti; aumentando il tasso di condivisione di beni. Si va verso un modello dove, almeno per alcuni beni, l’ideale diventa quello della condivisione, dell’accesso al bene più che alla proprietà (un bene condiviso che viene utilizzato quando serve). Infatti, se abbiamo bisogno ad es. di un trapano una volta all’anno, non è necessario che ciascuno di noi compri un trapano: sarebbe sufficiente avere un bene condominiale, che viene utilizzato quando serve.
Questo è molto interessante anche dal punto di vista spirituale-teologico. Se ci pensate, uno dei beni più importanti oggi è quello della rete che si fonda sul concetto di accesso e non di proprietà. L’estensione della vita del prodotto ovviamente è fondamentale, aumentare la percentuale del riuso, riciclo, ridurre quella dei rifiuto indifferenziato nella produzione.
Per fare tutto questo la strada è molto impervia (nella prima metà della transizione la riduzione di Co2 è una passeggiata abbastanza in pianura, ma nella seconda metà la strada diventa impervia); questo vuol dire che ad oggi, se volessimo immediatamente arrivare ad emissioni nette zero, faremmo moltissima fatica, anche se la tecnologia ci viene in aiuto e ci offre sempre nuove opportunità.

2. QUALI SONO LE POLICY DA METTERE IN CONTO?
Io ho lavorato negli ultimi tre anni con il ministro Costa, ora con il ministro Cingolani, quindi ho seguito un po’ tutte le azioni di policy di cui si è parlato in questo periodo. La prima cosa che va fatta è quella di spostare la tassazione dai beni ai mali. Spostare tassazione dal lavoro all’inquinamento. Dobbiamo far sì che gli Stati votino con il portafoglio, quindi appalti sostenibili, non appalti al massimo ribasso che portano anche a sfruttare il lavoro, a danneggiare l’ambiente, ma appalti dove vincono quei prodotti che hanno miglior impatto sociale e ambientale. Abbiamo bisogno di cambiare i sistemi di incentivazione dei manager: bisogna reintrodurre indicatori ambientali e sociali nei criteri della premialità dei manager e della forza lavoro. Non devono avere un premio se aumentano il profitto peggiorando l’impatto ambientale dell’azienda e l’impatto sociale (pensiamo ad un manager che aumenta il suo profitto avendo molti incidenti sul lavoro). Dobbiamo inoltre premiare il risultato, premiare quelle aziende che concretamente, anno dopo anno, dimostrano di ridurre le emissioni modificando i loro processi produttivi.
Tutto questo richiede poi anche un nostro impegno.
Interessante è anche l’azione che abbiamo fatto come Governo italiano con la prima immissione di bond verdi (BTP verdi) con i quali ci siamo impegnati a raccogliere soldi sui mercati finanziari dagli investitori per finanziare solo dei progetti che avessero un impatto ambientale positivo, nel campo dell’efficientamento energetico degli edifici, dei trasporti, della modifica delle fonti di energia, della ricerca e della tutela della biodiversità. È importante anche che non facciamo i primi della classe, senza proteggerci dall’esterno: alzare la dignità del lavoro e la tutela dell’ambiente in un solo paese, o solo nell’Unione Europea, rischia di spingere le aziende a delocalizzare per andare a produrre in altri paesi dove i costi sono più bassi, e farci poi concorrenza sotto costo. È quindi fondamentale occuparsi di quello che l’Unione Europea ha messo nella prossima strategia FitFor55, l’obiettivo cioè di creare delle tasse di frontiera che impediscono appunto questa politica sottocosto di chi produce in paesi terzi, e che impongono un allineamento dei costi nel momento in cui si stabilisce che questi prodotti non hanno seguito i nostri standard ambientali e sociali.
Molto importante però è anche tutto quello che possiamo fare noi direttamente come comunità perché il cuore caldo della democrazia è la cittadinanza attiva.

3. COSA POSSIAMO FARE NOI?
Siamo molto molto importanti perché il mercato è fatto di domanda e di offerta, noi siamo la domanda di mercato, quindi le nostre scelte di consumo, di risparmio, di produzione di energia sono fondamentali. Di questo abbiamo parlato alle Settimane Sociali di Taranto (voto col portafoglio) e in particolare lo abbiamo iniziato ad applicare anche al tema delle comunità energetiche.
Cosa sono le comunità energetiche?
Sono il prosumerismo applicato al tema dell’energia.
Oggi ci sono tre modelli: cittadini che diventano auto produttori di energia da fonti rinnovabili o individualmente o collettivamente (modello di autoconsumo o modello collettivo e condominiale) oppure cittadini che creano una vera e propria comunità energetica, ossia un network di famiglie e imprese, parrocchie, aziende che costruiscono appunto una comunità energetica e creano un soggetto prosumer di energia.
I modelli che stanno nascendo sono modelli legati all’azione di fondazioni sia al Nord che al Sud. Ma ad esempio in Sardegna sono legate all’iniziativa di Comuni minori che fanno l’investimento iniziale a fondo perduto, oppure imprese e centri commerciali che cedono parte dell’energia che autoproducono.
Questo è molto interessante perché unisce il tema del bene comune col tema dell’interesse individuale e personale. Le aziende che erano già autoproduttrici di energia prima dell’invasione dell’Ucraina non hanno subito lo shock dell’aumento del prezzo del gas e hanno in questo momento un grande vantaggio competitivo rispetto alle altre. Allo stesso modo i cittadini che sono in comunità energetiche possono ridurre quello che è l’impatto sulla bolletta di gas e di petrolio. Il concetto più in generale però è quello del voto con il portafoglio.

4. COS’È IL VOTO CON IL PORTAFOGLIO?
È un’utopia, che in parte si sta già realizzando, che stabilisce che se noi da domani scegliamo con le nostre scelte di consumo e di risparmio quelle aziende leader per creare prodotti di qualità, ma anche dignità del lavoro e tutela ambientale, il mondo da domani cambia. Questa idea del voto con il portafoglio ha ovviamente una serie di ostacoli e di limiti che sono: la mancanza di consapevolezza e la mancanza di informazione da parte dei cittadini, la difficoltà di coordinare le scelte di tanti piccoli consumatori e risparmiatori e il problema del prezzo. È interessante vedere che comunque qualcosa di cui si parla ha una storia pioneristica, ma se ne parla negli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite al Goal 12 che tratta di consumo e di risparmio responsabile. Quali sono le azioni importanti da questo punto di vista? Che cosa possiamo mettere in atto? Innanzitutto lo possiamo vedere da alcuni siti.
NEXT, il sito NEXT, nuova economia, è nato proprio per questo, per favorire questo cambiamento verso la sostenibilità integrale. Noi parliamo di transizione integrale, ecologia integrale, cioè non disgiungiamo il tema ambientale dal tema sociale e dal tema della povertà e ricchezza di senso del vivere. ”Tutto è interconnesso” come dice spesso Papa Francesco, quindi non possiamo pensare di occuparci solo di una parte del problema. Dobbiamo occuparci di tutto il problema insieme. Come lo facciamo? Lo abbiamo fatto creando un network di 44 organizzazioni (tra le quali Acli, Legambiente, i tre maggiori sindacati nazionali, le Banche di Credito Cooperativo, tante altre Cooperative, ecc.). L’idea è stata quella di creare un sistema di auto valutazione partecipata, semplice, agile con cui aziende, enti di terzo settore, Comuni, scuole, possano fare un percorso, possano valutarsi e fare un percorso verso la sostenibilità integrale. Qui ci sono aziende sul sito, cliccando sulle aziende possiamo andare a vedere quale è il loro profilo e cosa stanno facendo. Da questa storia nasce l’idea di diventare partner di questo gruppo di aziende e quindi nasce GIOOSTO.
GIOOSTO è una piattaforma di sviluppo sostenibile dove siamo diventati partner, soci di tutte le più belle storie italiane di produzione che mettono assieme sociale e ambiente. Ci sono ad esempio i prodotti dell’agricoltura biologica, ci sono le aziende agricole che fanno rinserimento lavoro, ci sono 3-4 organizzazioni di economia carceraria che riduce del 70% la recidiva femminile, ci sono i leader della legalità del nostro paese (come Libera e Goel) e c’è una storia molto interessante che è quella della marca del consumatore che a mio avviso rappresenta un altro passo avanti importante in questo movimento della cittadinanza attiva. Si tratta di una storia nata in Francia dove una rete di 10.000 consumatori ha cercato di risolvere il problema dei produttori di latte. Problemi di prezzi troppo bassi che schiacciavano questi produttori in un contesto fortemente negativo con tassi di suicidio doppi rispetto alla media nazionale in Francia. Parlando con i produttori si è capito che bastavano 6 centesimi in più al litro per creare un prodotto sostenibile. Il prodotto è stato disegnato assieme tra consumatori e produttori e oggi in Francia ci sono più di 33 prodotti della Marca del Consumatore, 351 milioni di prodotti venduti e 7200 punti vendita della grande distribuzione dove i consumatori hanno chiesto e ottenuto di introdurre questi prodotti.

5. LA RICCA SOBRIETÀ
Tutte queste cose di cui stiamo parlando sono parte della Dottrina Sociale della Chiesa dove voglio sottolineare i pezzi più belli e ispiranti sui temi che stiamo affrontando oggi. Quale è la visione di cui giustamente si parlava nella fine dell’intervento del Prof. Franco Prodi? Io la sintetizzo con questa espressione: la ricca sobrietà. È molto bello il pezzo della “Laudato si’” dove il Papa fa capire che un certo modo di vivere che stordisce con consumo compulsivo diventa quasi una sorta di alienazione, mentre la sobrietà vissuta con libertà consapevolezza è liberante. Quindi la qualità e la ricchezza di senso di vita per noi non è l’estensione infinita dei consumi ma è la capacità di dare un significato e un senso alla nostra vita attraverso la vita di cura, attraverso la vita di contemplazione. Il “meno è di più”: questo tema molto interessante della ricca sobrietà.
Il Papa parla anche dell’importanza di uscire dalle fonti fossili, questo è stato un intervento molto diretto che, ripeto, il voto con il portafoglio ha assolutamente valorizzato. Di fatto sono 20 anni che nel campo finanziario i fondi di investimento (penso al nostro lavoro con Etica SGR) sono stati pionieri, hanno creato delle iniziative che hanno portato il voto con il portafoglio ad affermarsi come approccio della finanza.
Oggi quasi tutti i fondi di investimento selezionano i loro titoli, non comprando titoli di aziende che hanno standard ambientali inferiori a quelli attesi. Da notare che per noi il voto col portafoglio in positivo non è boicottaggio ma è premio dei migliori. Questo è molto importante perché ha un valore evocativo. Noi facciamo la premiazione dell’Oscar del miglior film, non facciamo certo una cerimonia per dire qual è il film più brutto da non vedere.
Tutto questo lo trovate anche nell’Oeconomicae et pecuniariae questiones, il documento congiunto del Dicastero per la giustizia integrale e della Dottrina della Fede, dove si parla in particolare del tema del voto con portafoglio. Poi abbiamo una serie di altri interventi del voto col portafoglio che trovate nella Caritas in veritate fino alle ultime encicliche di papa Francesco.

5. PER CONCLUDERE
La visione finale e complessiva dell’economia civile è quella di un approccio “medico” al bene comune. Studiare l’anatomia e le patologie della società.
Oggi sono tre principalmente, quella ambientale, quella sociale e quella della povertà-ricchezza del senso del vita, avere un’idea di salute sociale che per noi è quella della generatività, cioè della pienezza della ricchezza del senso del vivere e quindi puntare a ciò che può creativamente migliorare le condizioni su queste tre patologie. Poi elaborare delle proposte e delle cure che non solo sono chieste ai potenti dall’alto – questo è il punto chiave dell’economia civile –, ma sono costruite anche dal basso, dall’impegno dei cittadini.
Voglio concludere con una frase di Davide Sassoli, un carissimo amico con il quale ho condiviso alcune importanti battaglie nei suoi ultimi anni di vita.
In particolare si tratta della frase che noi abbiamo messo al centro della sua premiazione in Campidoglio. È una frase di Davide che dice: “La pace si costruisce attraverso le relazioni di cura, attraverso l’impegno contro le disuguaglianze…” e quindi questa sua attenzione anche sul tema della partecipazione della cittadinanza attiva come cuore caldo della democrazia, come modo con cui noi possiamo contribuire al bene comune.

Prof. Leonardo Becchetti
Docente Economia Politica,
Università di Roma Tor Vergata

Trascrizione dalla viva voce non rivista dall’autore