Auguriamo a tutti un gioioso
incontro con il Re povero
che nasce per noi a Betlemme.
Buon Natale!
Anche questo Natale è un invito alla gioia secondo l’annuncio dell’angelo ai pastori: “Non temete: ecco, io vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Messia Signore” (Lc 2,10 s). È un invito per tutti noi amareggiati dalle vicende tristi e degradanti di questi giorni che spuntano da ogni dove intorno a noi, testimoni di malvagità, di violenze e di dignità umana calpestata, con negli occhi immagini di gente che specula su tratte di esseri umani e umiliazioni di fratelli ridotti a schiavitù.
La gioia a cui siamo invitati è diversa da come ordinariamente si pensa: non è fatta di sfavillio di luci, di colori caldi, di musiche allegre e di chiassosi sorrisi. È una gioia intima, una pace del cuore. È la gioia dei pastori che andarono alla grotta dove Maria aveva dato alla luce Gesù. Essi non si sarebbero mai rallegrati se avessero guardato solo alla loro condizione di povertà e di emarginazione, alla loro misera vita di pastori obbligati a seguire notte e giorno il gregge.
Non avrebbero gioito se si fossero fermati alla povertà della sistemazione del bambino nella mangiatoia e alla modestia della famigliola di Maria e Giuseppe. Si rallegrarono quando capirono il segno del “Bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” e credettero agli angeli del Signore che cantavano: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama”.
I pastori in quel Bambino videro l’amore di Dio per l’umanità, videro la fedeltà di Dio che aveva promesso di mandare il Messia, il Salvatore e la loro vita fu ripiena di una gioia immensa: “I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto” (Lc 2,20).
Certo noi abbiamo tutte le ragioni per non rallegrarci e per decidere che l’invito alla gioia specialmente di questi tempi non è per noi. Nessuno si sentirà di dirci che siamo insensati se rimarremo chiusi nella nostra amarezza. Solo che nella nostra vita non cambierebbe niente. La venuta di Gesù che vuole farsi nostro fratello, che innalza la dignità della natura umana, che vuole condividere in tutto la nostra esistenza, che prende su di sé il peso e la sofferenza della vita fino ad andare in croce per noi, ci testimonia che oltre la nostra storia c’è un’altra storia che cammina con noi: è la storia che fa Dio, regolata unicamente dal suo amore gratuito, una storia per noi, una storia che può generare la vera gioia.
Ci viene incontro S. Francesco, che tre anni prima della sua morte, volle celebrare il Santo Natale a Greccio, a modo suo: “vorrei fare memoria di quel bambino che è nato a Betlemme e in qualche modo intravvedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato… come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello” (FF 468).
S. Francesco vuole ritornare al segno del bambino, per rifare il cammino dei pastori e poter giungere a Gesù, al Salvatore, al Figlio di Dio. Nella notte di Natale, attorniato da tanta gente, “il santo di Dio è lì estatico di fronte alla mangiatoia, lo spirito vibrante pieno di devota compunzione e pervaso di gaudio ineffabile”.
Si celebra l’Eucaristia e S. Francesco, poiché era diacono, canta il Vangelo con voce forte e dolce, limpida e sonora. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero. Uno dei presenti ha una mirabile visione: vide nella mangiatoia giacere un fanciullino privo di vita e Francesco avvicinarglisi e destarlo da quella specie di sonno profondo.
E in verità S. Francesco con la sua fede e il suo amore ha ridestato nella Chiesa la gioia del Natale del Signore.
p. Lorenzo Di Giuseppe