Ci sono tante storie conosciute, non conosciute, eclatanti che parlano dell’affido familiare. Noi Pietro e Patrizia vogliamo raccontarvi la nostra in punta di piedi e senza fare rumore semplicemente come un piccolo soffio, una piccola brezza che fa sorridere il cuore. Vogliamo raccontarla al cuore di ogni cristiano maturo che vuole poggiare tutta la sua vita e il suo essere affidandolo al Creatore; vogliamo raccontarla a tutte quelle coppie di sposi che rimangano “intrappolate” nel diritto di un figlio a tutti i costi e non riescono a trasformare questo desiderio in un’apertura alla maternità e paternità tout court. Vogliamo raccontarla ad ogni persona che sta leggendo questo piccolo articolo perché questa è una storia, anzi la storia di tante povertà, piccolezze che si sono trasformate in amore vissuto. Vogliamo, soprattutto, raccontarla ancora una volta a Emmanuella e a Giuseppe che da bambini accolti sono diventati figli speciali per noi.

 

L’affido familiare è un istituto previsto dal nostro ordinamento come “soluzione temporanea per garantire al minore affetto e protezione, in attesa di ritornare nella famiglia di origine e di essere accolto come figlio”. Questo in sintesi il concetto di affido che poi si attua in un vero progetto di accoglienza strutturato dove ognuna delle parti – famiglia di origine, famiglia che accoglie e istituzioni – hanno un ruolo nell’obiettivo del bene del bambino o dei bambini.

Ma facciamo parlare la storia. Era un giorno di fine gennaio del 2008 ed è arrivato Giuseppe, di soli 15 mesi, a casa nostra con un paio di scarpe 2-3 misure più grande del tuo piede. Sembrava una piccola paperella che cammina incerta… Mi è venuto subito incontro in un abbraccio così caloroso che ancora non mi so spiegare! Era la prima volta che mi vedeva. Doveva rimanere a casa nostra solo per una settimana perché la sua mamma aveva dei problemi… ma di fatto non è andato più via e con il suo gesto di chiudere la porta, di mandare via chi lo aveva portato a casa nostra, ha scritto la sua e la nostra storia.

Nel cuore mio e di mio marito guardando gli occhi di quella piccola creatura, era nato un amore.

Per questa accoglienza temporanea due dei nostri fratelli della Fraternità Frate Jacopa a cui apparteniamo si sono “precipitati” lo stesso giorno per aiutarci a rispondere alle necessità di Giuseppe: biberon, vestiti e quant’altro. Noi, non avendo figli, eravamo impreparati e la loro attenzione è stata provvidenziale.

patjpegLa settimana di accoglienza era passata, con i mille sorrisi del piccolo Giuseppe e la nostra gioia nel vedere una creatura così bella a casa nostra. Io e Pietro pensavamo che forse questa era una piccola esperienza per farci capire che si può amare al di là del sangue, dell’appartenenza familiare in senso stretto e forse era una “breve” parentesi per avere una certezza: “avremmo fatto un nostro percorso di adozione dopo questa breve esperienza di accoglienza”. Invece il Signore aveva un altro progetto.

Infatti i giorni passavano e constatavamo che l’accoglienza non era solo di una settimana. Cosa fare?

Abbiamo contattato casa Betania, perché nello stesso periodo con la nostra Fraternità, stavamo partecipando ad un corso di sensibilizzazione sull’affido (incredibile!). Casa Betania ci ha rimandato al municipio di appartenenza dei bambini. Dopo una serie di problemi finalmente ci siamo incontrati con le istituzioni che ci hanno rimproverato ampiamente sul modo in cui avevamo accolto Giuseppe.

I responsabili dei servizi sociali hanno capito però che noi volevamo individuare quale era la strada migliore per il bene del bambino che aveva un problema: dov’era il suo nido, dove doveva essere accolto? Il nostro parlare è stato… parlare del problema. Non potevamo semplicemente riconsegnarlo alla madre e dirle: “Il problema è tuo, risolvilo tu!”. Ormai gli occhi di Giuseppe erano entrati nel nostro cuore: dovevamo aiutarlo.

Se il municipio avesse valutato di lasciare Giuseppe in una casa famiglia con la madre, noi saremmo stati comunque contenti perché si era affrontato il problema seriamente al di là di ogni sentimentalismo o sorta di delusione. Invece inaspettatamente il municipio ci ha rimandato a Pollicino (Istituto che si occupa degli affidi per tutti i municipi di Roma). Procedevamo a passi incerti mentre andavamo verso Pollicino, ma con una certezza: l’amore di Dio nostro Padre ci diceva che era con noi e di mantenere il nostro cuore libero. Avrebbe provveduto Lui al bene di Giuseppe.

Eravamo tutti presenti, istituzioni e famiglie. Anche qui inaspettamente gli assistenti sociali e gli psicologi avevano valutato che Giuseppe doveva rimanere nella nostra famiglia. È vero che da protocollo gli assistenti sociali tra l’accoglienza di un minore in una casa famiglia o in una famiglia vera e propria, optano sempre per la seconda, ma noi non lo sapevamo e inoltre pensavamo che, per il modo in cui Giuseppe era entrato nella nostra casa, avrebbero scelto per lui un’altra soluzione, non noi. Comunque si prospettavano una serie di incontri con Pollicino e a luglio del 2008 finalmente nasceva il “progetto di affido” vero e proprio.

Questo veniva scritto non soltanto per Giuseppe, che da gennaio era a casa nostra, ma anche per la sorella… la piccola e bella Emmanuella.

Emmanuella è entrata nella nostra casa in un modo completamente diverso rispetto al fratello. È entrata con il suo bellissimo vestito azzurro, con i capelli arruffati e con un silenzio impenetrabile… Diciamo che non è stato facile. Emmanuella sembrava una farfallina “silenziosa”. Se le lasciavi la mano lei andava via.

Abbiamo capito con Pietro e con i responsabili di Pollicino che Emmanuella portava con sè il modo di vivere che aveva vissuto. Non era abituata a stare vicino a un nido che la proteggesse, ma pian piano avrebbe preso le nostre abitudini e il reale senso di appartenenza e di famiglia. Infatti poco alla volta cominciò a parlare, a confrontarsi con noi e adesso guardandola rido perché parla; anzi è diventata una chiacchierona e una bambina affettuosa e sensibile. I suoi occhi mostrano una maturità di cuore, ma anche una voglia di vivere la sua fanciulezza pienamente.

Eh, sì! Giuseppe ed Emmanuella ci sono stati affidati… Iniziava il percorso.

emanjpegIl cammino dell’affido prevede la durata di due anni per quello consensuale come in questo caso, ma si può prolungare per altri due anni diventando un affido giudiziale. In questi anni la nostra vita è cambiata completamente. Nella prospettiva di vivere il nostro essere coppia, marito e moglie, in un’apertura di cuore per queste due creature che ci erano state affidate, abbiamo imparato a scorgere e vivere il loro bene con l’aiuto degli assistenti sociali, degli psicologi che ci hanno seguito in questo percorso e con il rapporto costante con la famiglia di origine dei bambini, che nelle varie situazioni della vita, il Signore ha voluto che noi aiutassimo direttamente sia da un punto di vista della salute, sia da un punto di vista giuridico (ma questa è tutta un’altra storia che chi sa se racconteremo prima o poi oppure resterà solo nei nostri cuori).emanjpeg

L’istituto dell’affido dopo quattro anni prevede una scelta, sempre per il bene del minore. La vita di ogni giorno già parlava da sola. Noi ci legavamo sempre più ai bambini e loro a noi e anche alle nostre rispettive famiglie di origine, alla fraternità, ai nostri colleghi e amici.

La loro famiglia di origine, nella figura solo della mamma naturale, manifestava costantemente il desiderio che i suoi figli venissero accolti pienamente nella nostra casa. Allora l’assistente sociale seguendo la nostra storia e facendo un percorso anche per la mamma, ci prospettò l’adozione speciale.

L’istituto dell’affido non si può trasformare in adozione, non è previsto dal nostro ordinamento. Ma è prevista un’adozione speciale o cosiddetta adozione mite. In quest’istituto i bambini vengono adottati pienamente dalla famiglia che prima era affidataria, ma i rapporti con la famiglia di origine non si annullano, non si interrompono, non “si fa finta” che la famiglia di origine non ci sia più. Ma rimane sempre un filo, un riferimento sulle origini della storia del bambino.

E così il 20 maggio scorso dopo circa 6 anni di affido vissuto, Giuseppe ed Emmanuella sono diventati i nostri figli. Non sono con i miei occhi verdi, con i capelli folti di Pietro… non ci somigliano fisicamente, ma posso dire che sono veramente il più bel dono che Dio nostro Padre ci ha fatto al di là e al di sopra di ogni nostra immaginazione. Sono a immagine di Dio e con una dignità di sguardo che li fa veramente figli.

In questa storia tutto quello che noi potevamo scegliere per vivere normalmente come coppia la maternità e la paternità, il Signore lo ha stravolto a favore di una logica superiore alle nostre piccole aspettative e ai nostri modi di vedere. Ogni bambino è veramente di Dio e ogni bambino deve crescere in una famiglia. Noi siamo stati semplicemente degli strumenti del suo immenso amore per ogni creatura.

Ci sono state le preghiere di una mamma che cercava il bene dei suoi figli non abbandonandoli, una mamma che pregava che i suoi figli fossero accolti in una famiglia che li amasse veramente. C’è stata la preghiera mia e di Pietro, di noi due insieme, una preghiera che ha chiesto più volte al Signore il modo in cui vivere il progetto di sposi e di famiglia. Queste preghiere sono salite a Dio nostro Padre e Lui le ha trasformate, magari non come pensavamo noi, ma in un modo più vero di vedere la realtà.

Possiamo oggi testimoniare la bontà di Dio che ama tutti gli uomini e che vuole che noi viviamo come famiglia! Allora nella grande famiglia in cui viviamo, l’aiutare l’altro significa aiutare un fratello, non un estraneo.

Siamo immensamente grati a Dio per questo grande dono, per questi due bellissimi figli che Lui ci ha affidato.

 

Patrizia Ducato Castronovo