img92La povertà ha sempre posto all’umanità degli interrogativi. Nella storia ricordiamo alcuni personaggi che, nel bene o nel male, hanno detto alla civiltà umana qualcosa sulla povertà. Nel mondo pagano c’è stato chi ha sentito questo valore in un modo vitale, nel senso che ha conformato ad esso tutta la sua vita. Mi riferisco a modelli orientali come Budda, fondamentale soprattutto per la civiltà cinese e indiana, ma anche a modelli occidentali che hanno avvertito questo valore come una forza, un emblema nell’ambito del senso della vita umana. Penso in particolare a Diogene che, in contrapposizione al sogno di gloria e di potenza del grande conquistatore Alessandro Magno, avvertì il valore della povertà come esaltante la vita umana e per questo decise di vivere dentro una botte. Egli era convinto che una vita umana risplendesse in se stessa, nel suo valore umano, nel rifiuto del possesso e diceva che se uno possedeva delle ricchezze non era più un uomo, ma solo una cosa tra le cose, perché era posseduto da ciò che credeva di possedere.

La leggenda racconta che Alessandro Magno si trovò stupito davanti alla scelta di povertà estrema di Diogene e lo volle conoscere. Andò davanti alla sua botte e gli disse: “Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò”. E Diogene, in modo sprezzante, gli rispose: “Ti prego di spostarti, perché io possa vedere il sole”.

Nella storia c’è stato chi ha avvertito la povertà come un’esigenza totale di libertà dell’umano nei confronti della prigionia delle cose e chi, invece (ed è la parte dominante), l’ha odiata e sfuggita con terrore, come un male da cui ci si deve liberare. Anzi, la storia può essere vista come una continua lotta da parte delle classi deboli, per sfuggire alla povertà.

Basti pensare ai Minores che, al tempo dei Romani, volevano diventare Maiores per allontanare la povertà e divenire potenti nel mondo. Questo è significativo, perché una delle tesi fondamentali della fede cristiana è che il cristianesimo risponde alle esigenze più profonde dell’umano.

Quando si parla della povertà nell’ambito del messaggio cristiano e francescano, tuttavia, si corre il grande rischio di farne un idolo. Nella storia del francescanesimo questo è successo a proposito dei Fraticelli, una setta che vedeva nella povertà la pienezza, la totalità del cristianesimo. Essi la consideravano il valore supremo a cui sacrificare tutti gli altri valori e contestavano la Chiesa in modo radicale perché la accusavano di cercare le ricchezze anziché Gesù Cristo.

La radice ultima di questa posizione trova la sua origine nei Catari che, nel voler valorizzare lo spirito, dichiaravano una guerra totale alla materia con la quale rifiutavano qualunque compromesso come un inganno, un tradimento di Dio che è spirito. Per questo rifiutavano tutti i sacramenti, soprattutto il matrimonio nel quale, secondo loro, lo spirito è asservito alla materia.

Per capire il valore che S. Francesco dà alla povertà, bisogna rifarsi al suo attaccamento totale a Gesù Cristo, poiché una povertà senza Cristo, considerata come valore in se stessa, non ha nessun senso, in quanto porta a disprezzare tutti gli uomini. Infatti mentre Alessandro Magno andava da Diogene pieno di ammirazione verso di lui, Diogene lo disprezzava nel modo più assoluto.

La povertà senza Cristo diventa il piedistallo dell’orgoglio, proprio di chi si ritiene spirituale in contrapposizione a chi vive interamente curvato verso la terra alla ricerca dei beni di questo mondo. Perciò la povertà in se stessa può essere un principio di dannazione piuttosto che di salvezza. Infatti il disprezzo è segno della condanna, perché è il contrario esatto del comandamento dell’amore.

Per verificare in sé la sincerità del cammino di povertà, bisogna vedere se si ama il prossimo, compresi i ricchi. Infatti S. Francesco nella sua Regola ammonisce i frati di non condannare i ricchi, ma al contrario di disprezzare se stessi.

Per comprendere il mistero della povertà di Cristo, dobbiamo rifarci al Vangelo, nel brano in cui il giovane ricco chiede a Gesù che cosa si debba fare per ottenere la salvezza. Il giovane con questa richiesta dimostra di cercare un senso alla sua vita e Gesù gli dà il famoso comando: “Vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; – ma poi continua – poi vieni e seguimi” (Lc 18,22).

La sequela di Cristo è il punto focale, poiché senza di essa, vendere tutto ai poveri non conta niente. “Ma quegli, udite queste parole divenne assai triste, perché era molto ricco” (Lc 18,23). Questo significa che era posseduto dalle sue ricchezze, come un burattino è manovrato dai fili.

La povertà è quel valore di liberazione per cui l’uomo non è più prigioniero nella caverna delle ricchezze, non è più legato ai fili, ma è libero di seguire Cristo.

 

Lucia Baldo