Identità di relazione
Nella nostra immaginazione l’identità divina è data principalmente da un superpotere, da una straordinaria esibizione di forza e di potenza, ma questa idolatria è smentita innanzitutto dall’incarnazione di Cristo che scelse la povertà e offrì se stesso “cruentemente come sacrificio e come vittima sull’altare della croce” (FF 184).
Attraverso il Vangelo possiamo contemplare la vera identità divina nella Trinità, nell’intima unità di amore relazionale: il Padre e il Figlio dialogano, si accolgono, si ricevono a vicenda nell’unità dello Spirito Santo. In particolare nel racconto evangelico della Trasfigurazione possiamo vedere, come in uno squarcio, il mistero della Trinità: nel simbolo della nube che avvolge Cristo possiamo vedere l’abbraccio del Padre che accoglie il Figlio il quale, da parte sua, sale sulla montagna per parlare col Padre e stare con Lui.
Lo stesso abbraccio d’amore è offerto anche a noi. Ciò che accade al Figlio ci riguarda come nostro destino, poiché anche noi, che siamo diventati figli grazie al Battesimo, possiamo partecipare alla vita divina. Così l’identità divina è anche la nostra identità in quanto anche a noi viene offerto l’abbraccio del Padre, il dialogo del Figlio.
La bellezza della vita cristiana è fondata sulla relazione d’amore con Dio fatta di ascolto, di risposta, di fiducia, di rinnovata accoglienza della sua Parola e della sua volontà.

Il legame fondamentale
Le varie biografie raccontano l’iniziale esperienza di dialogo di S. Francesco col Signore attraverso il mondo dei sogni in cui traspare che l’iniziativa è di Dio.
In più il Celano racconta che il giovane Francesco muoveva i primi passi del cammino di conversione, nella consapevolezza di aver trovato una “perla” e di volerla comprare vendendo ogni suo avere.
Fuori di metafora possiamo dire che aveva intuito l’esistenza del regno di Dio a cui voleva appartenere rinunciando alla propria autosufficienza, ormai deluso dai propri desideri di gloria mondana che non gli avevano dato la felicità sperata. Per poter accedere al regno di Dio, in cui riponeva una nuova speranza di gioia, si recava sovente con un amico presso una grotta che considerava un posto adatto al raccoglimento spirituale necessario per dialogare e per iniziare a vivere in comunione col Signore.
“Lasciando fuori il compagno ad attendere e, pieno di nuovo insolito fervore, pregava il Padre suo in segreto. Desiderava che nessuno sapesse quanto accadeva in lui là dentro; e celando saggiamente a fin di bene il meglio, solo a Dio affidava i suoi santi propositi. Supplicava devotamente Dio eterno e vero di manifestargli la sua via e di insegnargli a realizzare il suo volere” (FF 329).
E fu così che, per andare incontro a Francesco peccatore, il Signore gli “concesse” di incominciare a fare “penitenza” (FF 110). Infatti prima di morire a se stesso rinunciando alla propria volontà e di conoscere la propria vocazione furono tante le traversie che dovette affrontare, ma fondamentale fu la preghiera insistente che provocava in Francesco una “lotta tremenda” (FF 329) fino a farlo apparire “irriconoscibile” all’uscita dalla caverna che è simbolica dell’utero materno da cui si rinasce, si esce trasformati.
Giorno dopo giorno “le vanità del passato o del presente non avevano per lui più nessuna attrattiva…”.
Il legame con Dio lo rendeva felice e ne sentiva la necessità in ogni istante dell’intera vita. Sostenuto dal dialogo continuo col Padre divenne “preghiera vivente” (FF 682).
Narra il Celano che “cercava sempre un luogo appartato dove potersi unire” (FF 681) al Signore. “E se all’improvviso si sentiva visitato dal Signore, per non rimanere senza cella se ne faceva una piccola col mantello. E se a volte era privo di questo, ricopriva il volto con la manica per non svelare la manna nascosta”.

La relazione che libera
Benedetto XVI pone in risalto quanto sia fondamentale la comunione col Verbo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (DC 1).
Nell’Esortazione Apostolica di papa Francesco “Christus Vivit” l’incontro con Cristo, che dona la partecipazione alla vita trinitaria, è esteso a tutta la vita.
Il papa si rivolge al lettore esortandolo con queste parole: “Se riesci ad apprezzare con il cuore la bellezza di questo annuncio e a lasciarti incontrare dal Signore; se ti lasci amare e salvare da Lui; se entri in amicizia con Lui e cominci a conversare con Cristo vivo sulle cose concrete della tua vita, questa sarà la grande esperienza, sarà l’esperienza fondamentale che sosterrà la tua vita cristiana” (CV 129).
Relazionandosi e fidandosi di Lui si diventa suoi amici e, amandolo, si ama anche la volontà divina.
Attraverso il compimento di atti compiuti in comunione con Lui, cioè guardando il mondo dal suo punto di vista, S. Francesco fa esperienze che continuano a trasformare la sua affettività e a dare un senso di pienezza e di pacificazione interiore. Come racconta lo stesso S. Francesco nel Testamento, fu il Signore che lo “condusse” (FF 110) a compiere atti di misericordia verso i lebbrosi, che gli consentirono di continuare il cammino di conversione della sua affettività. Nella sequela di Lui ciò che gli sembrava amaro gli fu cambiato in dolcezza d’anima e di corpo (cfr. FF 110).
Nella sua dottrina sulla libertà dell’uomo, trattata nel Commento al II Libro delle Sentenze, S. Bonaventura teorizza la liberazione dalla originaria affettività, affermando che “Dio può mutare l’affettività dell’uomo attraendola verso beni opposti a quelli che essa appetisce. Di fatto è questo che accade nelle conversioni degli uomini: ciò che prima desideravano o rifuggivano, viene reso insignificante per essi dopo l’esperienza di Dio. Tuttavia la volontà decisionale mantiene ancora la sua libertà di elezione, in quanto è tale volontà che, senza esservi costretta, muove se stessa e domina il suo atto, staccandosi liberamente dall’affezione precedente ed eleggendo la nuova” (V.C. BIGI, Studi sul pensiero di S. Bonaventura, La libertà, Ed. Porziuncola, 1988, p. 265).
S. Francesco è il modello dell’uomo libero, capace di coinvolgere gli altri ad attraversare la grande esperienza di Dio.

Graziella Baldo

Il Cantico