Volontarismo

img176L’Enciclica “Fides et ratio” nella situazione attuale coglie una “drammatica separazione” tra fede e ragione, osservando che entrambe “si sono impoverite e sono divenute deboli l’una di fronte all’altra” (FR 48).

Ne vediamo le conseguenze nell’immaginario collettivo che estranea il mondo degli affetti dalla razionalità e lo riduce alla pura emotività, cioè al solo psichico, alla casualità, a ciò che è intensivo nell’istante e non ha una sua natura storica. “L’idea della ragione è modellata sulla tecno-scienza, la razionalità è concepita come un freddo potere analitico e organizzatore, mentre l’affettività è avvertita come la relazione calda con gli altri e con il mondo al di fuori dell’orizzonte della ragione; è vissuta perciò a livello emotivo del sentire e del sentirsi. Insomma l’organizzazione tecnologica del mondo ha come sua compensazione il massimo spontaneismo affettivo e una sorta di culto dell’intensità” (F. Botturi, Corso Anicec 2007).

La libertà è intesa come possibilità di fare ciò che si vuole al di là di ogni rapporto con la ragione.

In questa mentalità volontarista è facile ridurre l’esperienza religiosa a pura emozione pensando che così “la fede, dinanzi ad una ragione debole, abbia maggiore incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o a superstizione” (FR 48).

 

Volontarismo francescano

È questo il cosiddetto “volontarismo francescano”? Esso vuole separare la fede dalla ragione?

Ricordiamo i grandi teologi francescani come S. Bonaventura e Scoto con le loro raffinate e sottili argomentazioni.

E soprattutto ricordiamo l’Ammonizione 2 di S. Francesco che, facendo consistere il peccato originale nell’appropriazione della propria volontà (cfr. FF 147), toglie il piedistallo dell’autosufficienza alla volontà umana.

Con l’espressione “volontarismo francescano” non si vuole negare il rapporto equilibrato tra fede e ragione, ma si vuole solamente porre in risalto che il momento decisionale risiede nella volontà e non in un sillogismo.

Secondo S. Bonaventura “per quanto la ragione deliberi, la decisione definitiva dipende sempre e solo dalla determinazione e dalla preopzione della volontà”. E proprio per questo l’affettività umana va guarita e nutrita, affinché la volontà non sia condizionata da un’affettività malata, ma esprima un cuore purificato.

 

Il vero bene

La spiritualità francescana è molto esigente! È la spiritualità dell’Amore!

S. Francesco piangeva perché l’Amore non è amato, ma è ridotto all’amore umano.

S. Bonaventura dice esplicitamente: “è necessario che gli affetti siano sanati, affinché possano rettificarsi… La malattia è la depravazione dell’affetto”.

E questa infermità riguarda tutto l’uomo in quanto “la forza intellettiva, la forza di amare, quella di potere sono infette fino al midollo” (S. Bonaventura, Collationes in Hexaemeron, Coll. VII).

Cristo è l’unico medico che può purificare il nostro cuore e può farci diventare “veri uomini della Chiesa…” (S. Bonaventura, ibidem, Coll. I). Senza di Lui gli “occhi della mente” sono ciechi, non vedono e non compiono il vero bene. Per poterlo compiere è necessaria la purificazione del cuore! Infatti il cuore umano, che difficilmente vuole il male per se stesso, non vede il vero bene perché è in una infermità costante, è nella mutevolezza, nell’ignoranza del vero bene.

Così per esempio nel compiere un’opera buona l’uomo si volge farisaicamente a ricavarne una gratificazione, cerca di primeggiare, di porre in risalto le sue capacità… Il suo cuore è di questo mondo. Si illude di compiere il vero bene. Gonfia se stesso e si pone su un piedistallo. Ma “all’armonia concorde della lode divina è contrario lo spirito di presunzione e di curiosità in quanto il presuntuoso non magnifica Dio, ma loda se stesso; e il curioso non ha devozione. Purtroppo sono molti costoro, incapaci di lode e privi di devozione, sebbene abbiano lo splendore della scienza. Essi costruiscono, come le vespe, favi senza miele, mentre le api mellificano” (ibidem).

 

Cristocentrismo

Il Cristocentrismo francescano è un movimento di spirito che cerca, mediante l’adesione totale alla spiritualità di Cristo, di sanare la debolezza radicale dell’amore umano.

Lui è il modello per realizzare l’umano in noi sanando la nostra affettività.

Dopo il Vaticano II il Cristocentrismo è diventato il clima della teologia.

Nell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” il papa osserva che tutti noi, compresi gli operatori pastorali, siamo malati anche a causa dei condizionamenti della nostra cultura secolarizzata (cfr EG 77- 78). Ma nella desertificazione spirituale si avverte una “sete di Dio, del senso ultimo della vita” (EG 86) e “un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità” (EG 265). Ciò sollecita il papa a proporre una vita nuova che si lasci affascinare dal “modello” (EG 269) della vita di Gesù.

 

“Tutta la vita di Gesù… parla alla nostra vita personale” (EG 265) e ci consente di svolgere i nostri compiti come azioni che costruiscono la nostra identità: non come dovere per il dovere, “non come un obbligo, non come un peso che ci esaurisce, ma come una scelta personale che ci riempie di gioia e ci conferisce identità” (EG 269).

Come osserva Benedetto XVI: “Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo l’uomo può – come ci dice il Signore – diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva. Ma per diventare una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l’Amore di Dio” (DCE 7).

 

Graziella Baldo