Una creatura particolare…

La creatura umana è particolarmente preziosa agli occhi del Creatore che nell’ultimo giorno della creazione la giudica “cosa molto buona”. Per essa ha una predilezione particolare e ce la fa percepire come qualcosa che vale.

Nella V Ammonizione S. Francesco ha indicato la preziosità e la dignità particolare dell’uomo rispetto alle altre creature: “Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto Dio che ti creò e ti fece a immagine del suo diletto Figlio secondo il corpo, e a sua similitudine secondo lo spirito” (FF 154).

Questa sublime condizione ha consentito all’uomo di essere particolarmente vicino al suo Creatore, ma con il peccato è stata disattesa. Con il peccato l’uomo si è contrapposto a Dio e, rifiutando di rimandare a Lui, si è fatto dio di se stesso.

Una lettura attenta del Cantico delle Creature, che è un inno di lode al Creatore, pone in evidenza che tutte le creature, col loro solo essere, Lo sanno glorificare, ma la creatura umana no: solo se sa perdonare Lo può lodare in modo eccelso, rispondendo così alla predilezione di cui è oggetto da sempre, nonostante tutto.

Se l’amore di Dio è nel suo cuore, la creatura umana rimanda al Creatore ed entra nella gloria a cui è predestinata (cfr. Ef 1,11-12). Come dice Scoto: l’uomo è predestinato alla gloria nell’avere l’amore di Dio in sé (“habere amorem suum in se… hoc est praedestinare”). Ma per essere dimora dell’amore di Dio occorre fare un cammino di conversione della propria affettività e accettare di spendere la propria vita cercando di essere immagine e similitudine di Cristo, modello in cui la somma misericordia di Dio ha racchiuso tutto quanto voleva conferire alla creatura, di modo che “in Lui abbiano consistenza tutte le cose” (Col 1,17).

Invece chi cerca nel proprio io la ragione del suo esistere non la troverà mai e condannerà se stesso all’infelicità. Chiudendosi in se stesso l’uomo viene meno alla sua vocazione di lodare il Creatore, di rimandare a Lui e di partecipare alla sua gloria insieme alle altre creature. …

 

 

che ha bisogno di ricevere la misericordia di Dio…

Essere stati creati ad immagine e similitudine di Cristo è un grande privilegio, ma comporta anche la consapevolezza della propria indigenza o povertà, in quanto siamo solo immagine e similitudine di un Altro e possiamo riconoscerci solo guardando Lui e seguendo la sua volontà. Se invece seguiamo la nostra volontà ci dimentichiamo della “sublime condizione” in cui siamo stati posti e cadiamo nel peccato. Ricordiamo che secondo S. Francesco mangia il frutto proibito “colui che si appropria della sua volontà…” (FF 147).

“L’uomo, che è creato a somiglianza di Dio, precipita, in conseguenza del suo abbandono di Dio, nella «zona della dissimilitudine», in una lontananza da Dio nella quale non Lo rispecchia più e così diventa dissimile non solo da Dio, ma anche da se stesso, dal vero essere uomo” (Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, Parigi 12-9-2008).

Per uscire da questa «zona di dissimilitudine» dobbiamo toglierci di dosso la corazza della nostra volontà autosufficiente e fare esperienza della misericordia di Dio verso di noi, sapendo che abbiamo bisogno di essere perdonati per la nostra presunzione di autosufficienza. Così possiamo conformarci al Figlio per partecipare al suo Amore e alla sua gloria.

La consapevolezza della propria indigenza è legata alla consapevolezza del peccato. Sono entrambe una grande grazia e significano riconoscere lapropria miseria, cioè lo stato di chi ha bisogno di ricevere la misericordia dell’Altro (non per nulla le parole “misericordia” e “miseria” hanno la stessa radice e indicano una disparità tra chi dà e chi riceve).testo

 

 

… per compiere le opere di vera misericordia

La misericordia di Dio è il fondamento della misericordia intraumana. Senza questo fondamento non siamo capaci di esercitare tra noi la vera misericordia.

“C’è un modo assistenziale e solidaristico di vivere la prassi misericordiosa che papa Francesco ha a più riprese vigorosamente stigmatizzato e questo non incrementa la conoscenza di Dio.

C’è un altro modo più “eucaristico” e restitutivo, più tipicamente francescano, che sgorga dall’esperienza della remissione dei propri peccati ed è inclinato verso “la fornace ardente di carità” che è il cuore di Cristo.

Questo secondo modo, non solo non è staccato e non distacca dal Mistero, ma parte da esso e riconduce ad esso. A questo papa Francesco ci invita quando ci chiede di toccare e di baciare le piaghe di Cristo che incontriamo in ogni fratello ferito e dolorante.”( AA.VV., Siate misericordiosi come il Padre vostro, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2015, p. 49).

Il papa pone a fondamento delle nostre opere di misericordia l’esperienza che ci pone in rapporto al mistero della realtà di Dio. È l’esperienza mistica che ci anima, ci trasforma e dà senso all’azione pastorale e comunitaria (cfr. LS 216).

“Quando il papa dice di andare verso le periferie vuole dire che la potenza della misericordia di Dio, che ci è data in Cristo, non deve rimanere chiusa nel nostro cuore, né nelle sacrestie, ma deve dilagare, deve sbaragliare gli argini per arrivare dappertutto. Così come accadde a S. Francesco che era una persona trasfigurata e perciò convincente. In lui la sovrabbondanza era straripata, era diventata incontenibile.

Questo è il tratto di verità dell’esperienza propria e di verità della relazione con tutti” (Massimo Serretti, La fonte e il farmaco della misericordia, ne “Il Cantico” n. 8-9/2015, p. 11).

Nel suo Testamento il Santo, per cancellare la sua ripulsa verso i lebbrosi, indica come indispensabile la consapevolezza della propria condizione di peccatore bisognoso di penitenza: “Il Signore concesse a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza, poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi…” (FF 110).

Egli pone a fondamento del suo poter operare misericordioso la coscienza della propria condizione di peccatore che ha bisogno di fare penitenza per essere trasformato, in un cammino d’identificazione a Cristo.

S. Francesco si relaziona ai lebbrosi semplicemente con il fine di realizzare l’umano facendosi mediatore della misericordia di Dio. Non incappa nelle “patologie della misericordia quali l’impersonalismo, l’assistenzialismo, l’attivismo e similari” (AA.VV., Siate misericordiosi come il Padre vostro, p. 67).

Egli fa penitenza avendo cura di conoscere e di imitare gli atteggiamenti di Cristo. In questo modo egli agisce in comunione con Lui e così viene da Lui trasfigurato e reso capace di vera misericordia (“il Signore mi condusse tra loro e usai con essi misericordia”). La sua affettività gli viene cambiata in quella di Cristo (“ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo”).

Questa sua trasformazione gli consente di diventare convincente nel testimoniare agli altri la misericordia di Dio e nel vivificare la fraternità umana.

Infatti non dobbiamo dimenticare che siamo stati “predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29).

 

Graziella Baldo