“Della memoria della Passione di Cristo”
In Quaresima la Chiesa attraverso la Via Crucis, che appartiene alla tradizione francescana, ci fa incontrare l’amore di Dio nel ricordo della sua passione. Tale ricordo è importante per scuotere la nostra affettività contemplando l’amore del Crocifisso. Lo percepiamo recitando le preghiere di S. Francesco davanti al Crocifisso (FF 276-277) o l’Ufficio della Passione del Signore (FF 279-ss).
S. Bonaventura ritiene che, siccome il fervore della devozione viene nutrito e conservato nell’uomo dal ricordo frequente della passione di Cristo, è necessario che l’uomo abbia dinanzi agli occhi del cuore Gesù in croce morente e che voglia mantenere accesa e inestinguibile la devozione (cfr. S. Bonaventura, Opuscoli Mistici. Della vita perfetta, EBF, 1995, p. 452).
Il teologo francescano si rivolge al fedele invitandolo a lasciarsi trasformare “dall’ardentissimo amore del Crocifisso” (S. Bonaventura, ibidem) fino ad amarlo “di tutto cuore, con tutta l’anima e la mente” (ibidem, p. 456).
E poi spiega: “Amare Dio con tutto il cuore, significa che il cuore tuo non sia rivolto ad amare qualcuno più di Dio; che nulla ti diletti più di Dio, non le bellezze mondane, non gli onori e neppure i tuoi cari…
Ami Dio con tutta l’anima quando fai volentieri e senza nessuna opposizione non ciò che tu vuoi, non ciò che consiglia il mondo, non ciò che suggeriscono i sensi, ma ciò che tu sai che Dio vuole… E non solamente con tutto il cuore e con tutta l’anima, ma ancora con tutta la mente ama lo sposo tuo Gesù Signore… Amare Dio con tutta la mente vuol dire amarlo con tutta la memoria senza dimenticarlo mai” (ibidem, p. 460-461).
La crocifissione
Nel secolo XIII si nota un capovolgimento nelle rappresentazioni artistiche che inducono alla contemplazione del Cristo sofferente invece che del Cristo risorto.
Oltre alla crocifissione “non c’è altro soggetto, in tutta la storia cristiana, che abbia risentito così profondamente dell’influenza di S. Francesco. Il culto stesso del Crocifisso, inaugurato da Francesco, ha dato all’arte, già all’indomani della morte del santo, un potente impulso.” (H. Thode, Francesco d’Assisi e le origini dell’arte del Rinascimento in Italia, Ed. Donzelli 1993, p. 373).
I Crocifissi del sec. XIII, che furono fatti quasi tutti per le chiese francescane, rappresentano una nuova concezione tutta “naturalistica” del Crocifisso che non è più “dritto e irrigidito” come nelle pitture anteriori. “Il viso non è più raffigurato di fronte, con gli occhi aperti, perché il pittore ora si sforza di esprimere il peso del corpo che grava verso il basso per mezzo di una leggera flessione delle membra, e la testa, con gli occhi chiusi, è chinata sulla spalla. Ecco così costituito il nuovo modello che d’ora in poi si manterrà costante nel Cristo in croce: Gesù viene rappresentato morto!” (ibidem, p. 374).
Nelle precedenti rappresentazioni si voleva indicare l’immortalità di Dio, ora si cede il posto alla compassione per l’indicibile sofferenza del Figlio dell’uomo. La scena, densa di amore e di drammaticità, è resa ancora più emozionante e coinvolgente dal dolore di Maria: Cristo è morto da uomo dopo aver patito sofferenze indicibili e sua madre ha patito con Lui e sviene, sopraffatta dal dolore.
Tali rappresentazioni artistiche ci aiutano a fare memoria della Passione di Cristo.
Di fronte alle nuove crocifissioni sparse nel mondo grazie all’influenza di S. Francesco, dopo averle contemplate con stupore non resta che concludere con le parole di S. Bonaventura: “E se mai ti accadrà tristezza, dolore, tedio, amarezza, oppure proverai qualche volta nausea e disgusto nel bene, ricorri subito a Gesù crocifisso che pende dalla croce… Credimi, dopo tale osservazione, subito, ogni cosa triste troverai lieta…” (S. Bonaventura, ibidem, p. 458).
Graziella Baldo