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L’esperienza frammentata

Oggi si sente l’esigenza di fare esperienze, ma difficilmente da esse traiamo qualche insegnamento.

Perché?

La condizione post-moderna è particolarmente sfavorevole alla costituzione di un’esperienza unitaria. Soprattutto nel mondo digitale, dove il virtuale viene equiparato al reale, si moltiplicano a dismisura le più diverse e piccole esperienze che si accavallano come in un film di cui si fa fatica a capire la trama.

Gran parte delle condizioni sociali e culturali esistenti spingono verso una superficializzazione dell’esperienza, anzi le condizioni sono favorevoli alla negazione stessa del “fare esperienza”, cioè di fare dell’esistenza un cammino sensato, narrabile e trasmissibile. Manca un criterio di senso capace di ricongiungere attivamente ogni nuovo contenuto al già acquisito e di aprire una sempre rinnovata ricerca di senso. In altre parole se le esperienze sono superficiali non ci fanno maturare.

Un ambito di particolare significato antropologico è la scomposizione tra ragionamento ed affetto. Tale divergenza costituisce un ostacolo grave al farsi dell’esperienza, poiché solo l’unità di ragione e affettività può dare la sua impronta al vivere.

Le difficoltà antropologiche dell’oggi richiamano all’urgenza della concezione unitaria del soggetto.

Nessuna precedente epoca dell’umanità ha conosciuto in forma così acuta una separazione tra emozione e razionalità.

Secondo Papa Francesco accade che le attività siano “vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione” (EG82), si dà ilmassimo rilievo al calcolo razionale delle opportunità sociali e l’esperienza di fede viene ridotta a moralismo-dottrinalismo.

Oppure accade che si confonda la vita spirituale con “alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo” (EG 78), ma non alimentano nessuna attività.

Così si dà il massimo rilievo all’emozionale e l’esperienza di fede viene ridotta a emozionalismo-spiritualismo.

L’uomo d’oggi è frammentato e perciò scinde alcuni momenti di pura emotività da altri di pura razionalità. Ecco allora che la preghiera diventa pura emozione che non trova poi un riscontro nell’agire cosicché la fede è vissuta in termini solo emozionali, oppure le attività, anche benefiche, sono eseguite pensando solo all’organizzazione o ai risultati immediati, cosicché la Chiesa diventa una Ong che fa servizi sociali.

Inoltre oggi “l’emozione è autoreferenziale: in essa l’alterità è presente solo come occasione esterna e istantanea, ripetitiva, intensiva… Una mentalità emozionalista abitua a fare attenzione a sé, ad ascoltarsi, a sentirsi sovra ogni cosa e rende perciò più vulnerabili dalle fatiche delle relazioni” (Francesco Botturi, Corso Anicec, 2007).

Possiamo dire che la scissione dell’uomo dentro di sé si riversa anche nelle relazioni con gli altri rendendole “liquide” anziché fraterne.

Se l’uomo è diviso in se stesso le sue esperienze non costruiscono la sua identità, anzi lo rendono schizofrenico e inquieto. I suoi compiti sono vissuti come una “mera appendice della vita, come se non facessero parte della propria identità” (EG 78).

 

L’esperienza unitaria

L’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” ci propone “il senso unitario e completo della vita umana” (EG 75) per migliorare se stessi e per fecondare la città.

Per questo scopo costruttivo di sé e degli altri sono importanti le esperienze, purché siano unitarie, cioè tengano unite le facoltà dell’uomo.

Per esempio “occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne” (EG 262).

Unendo la realtà di Dio con la realtà del mondo si costruisce l’uomo nuovo che, nella concretezza dell’operare, non si fossilizza nel suo passato ritenuto come un dogma oltre al quale non c’è possibilità di rinnovamento, ma percorre un cammino di umanizzazione in se stesso, mette in discussione le proprie certezze e perciò è disposto a cambiare. Può costruire la sua identità ponendo domande a cui la vita risponde. Aprendosi e contemplando il nuovo che la realtà gli offre, può condurre una vita nuova e avere stimoli per fare un’ulteriore nuova esperienza in un processo continuamente in crescita dell’umano.

Il succedersi delle esperienze unitarie ha come scopo la ricerca della propria identità e di conseguenza anche la ricerca del proprio ruolo nella città. Ogni esperienza unitaria trasforma l’uomo, anche se è negativa o se provoca sofferenza, poiché fa mettere in discussione le proprie certezze e dà nuove consapevolezze e nuove possibilità di rinnovamento e di pace interiore.

Questa trasformazione nell’uomo nuovo è testimoniata da S. Francesco che “non volle perdere nemmeno una particella di tempo” e “giudicava un retrocedere il non progredire sempre” (FF 743).

Egli costruì la sua identità realizzando la sublime condizione di immagine del corpo di Cristo e similitudine dello Spirito di Cristo. Ne è conferma il mutamento della sua sensibilità. S. Francesco stesso lo esprime nel Testamento: “ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo” (FF 110).

 

Graziella Baldo