dialogo

 

Che cos’è la verità? È la celebre domanda che Pilato pone a Gesù constatando amaramente quanto sia difficile dare una risposta. Eppure a distanza di millenni questa domanda non cessa di interpellarci, anche se c’è ancora chi si lava le mani, affermando che non possiamo conoscere alcuna verità. Ma c’è anche chi pensa che ci siano tante verità quanti siamo. C’è anche chi crede che la verità sia una sola e che sia stata rivelata per aiutare a dare un senso alla propria esistenza.

In un tempo di crisi economico-sociale, di caduta dei valori, di incertezza e paura del futuro, la parola “verità” ha ancora un significato?

Viviamo nell’epoca del pluralismo delle culture, delle storie, dei punti di vista. Per l’uomo moderno è difficile pensare che ci possa essere un’unica verità valida per tutti. Oggi la maggiore preoccupazione è sancire il diritto di ognuno di avere una propria visione del mondo, di essere rispettato nella propria originalità, libero di generare la propria verità differente dalla verità degli altri.

L’uomo moderno è mosso da una forte esigenza di individualismo. Vuole affrancarsi da ogni visione di valori e di fede, essere libero da ogni riferimento oggettivo. Ma le promesse non mantenute di un progresso continuo e di una crescita senza fine delle possibilità di benessere, provoca un’inquietudine che costringe a cercare riferimenti solidi e affidabili.

Le grandi conquiste della tecnica e della scienza ci hanno consegnato una nozione di verità che cambia nel tempo e che non è mai la stessa. Per chi fa ricerca scientifica la verità va verificata empiricamente. O meglio lo scienziato si occupa di ipotesi che vanno sottoposte al vaglio dell’esperienza.

L’Illuminismo ha sancito il primato della ragione e della scienza, ma oggi anche molti non credenti riconoscono che la razionalità ha i suoi limiti. Inoltre la scienza non è l’unico linguaggio per descrivere la realtà. La scoperta della verità fa appello anche ad altre forme di conoscenza: l’immaginazione, la creatività, il racconto, l’arte e, per i credenti, anche la fede.

Il pluralismo è una ricchezza se non ci si arrocca nelle proprie convinzioni, purché la curiosità verso il punto di vista degli altri prevalga sulla tentazione di essere autosufficienti o tolleranti, di non aver bisogno di chi la pensa in modo diverso da noi. Nella nostra società secolarizzata, caduto anche il mito della ragione onnicomprensiva liberatrice, forse stiamo entrando nel tempo del dialogo e del cammino condiviso.

 

 

GIANFRANCO RAVASI

ravasi La verità è una parola che ormai si pronuncia con molto pudore ed in alcuni casi si preferisce esorcizzarla.

Due concezioni antitetiche si confrontano. La prima può essere rappresentata con l’immagine del cocchio di cui parla Platone nel Fedro. Esso corre con due cavalli nella pianura della verità “oggettiva”. Correndo scopre paesaggi sempre nuovi. Tale verità ci precede e ci supera. Il nostro compito è scoprirla correndo in questa pianura infinita. Non per nulla le religioni identificano la verità con Dio. Ricordiamo la battuta di Gesù: “Io sono la via, la verità, la vita”. Questa è la concezione delle religioni e della cultura classica.

La verità antitetica a questa è quella “soggettiva”, mutevole e inconsistente. Essa è simboleggiata dalla ragnatela che un ragno elabora da se stesso con un bel disegno, ma che può essere spazzata via da un colpo di vento. In questo caso il ragno la ricostruisce in un’altra maniera.

Il grande dramma della cultura contemporanea è il fatto che la verità non viene concepita come dato né oggettivo, né soggettivo, a cui rimanere fedeli.

Pensiamo all’espressione di Kant, che è una sorta di verità: “La legge morale dentro di noi, il cielo stellato sopra di noi”. Oggi non si guarda più il cielo stellato, cioè una verità trascendente, da conquistare nella ricerca. Ma non si considera nemmeno la verità interiore della coscienza. C’è il dramma dell’indifferenza, della superficialità, della banalità, del vuoto. È la strada più immediata, più diretta!

Bisognerebbe introdurre una sorta di elettrochoc: tornare a pensare ai grandi temi.

Ecco perché col Cortile dei Gentili si vuole che gli indifferenti si interroghino sul senso della vita, della morte, dell’oltrevita, sul senso del dolore, sulla verità, sul senso del mondo, sulla bellezza dell’amore che non può essere ridotto a un’esperienza erotica e superficiale.

 

GIULIO GIORELLO

Tutto quello che oggi gli uomini danno per provato, un tempo fu soltanto immaginato. L’immaginazione cortile-genha un ruolo enorme. Forse essa produce finzioni, ma ci permette di vivere meglio, poiché arricchisce il nostro modo di guardare il mondo. Non c’è solo la scienza, c’è la poesia, l’arte, la teologia, la filosofia. Ci sono numerose sfere in cui la nostra immaginazione creativa si dispiega anche entrando in conflitto con le immaginazioni altrui.

 

a cura di Graziella Baldo