Quante cose richiamano, anche solo per un secondo, la nostra attenzione! Siamo attratti dalla bellezza.
Non ne possiamo fare a meno. La bellezza è un piacere che coinvolge non solo i sensi, ma tutta la persona: ragione e intelletto, emozioni e passioni. La bellezza parla della vita e, nello stesso tempo, la comunica. Ci rende vivi.
La bellezza sembra mettere d’accordo tutti. È democratica. Affascina e interpella ogni persona sensibile, indipendentemente dalla cultura, dalla concezione di vita, dalla condizione sociale, dall’istruzione o dalla religione professata. C’è un senso innato che ci consente di riconoscere la bellezza in ogni luogo e in ogni tempo. Forse è questa sensibilità verso il bello che ci rende umani.
Ma che cos’è la bellezza? a che cosa serve? da dove viene?
G. RAVASI
Per parlare della bellezza potremmo ricorrere a un simbolo: la ferita. Esso vuole esprimere la dimensione lacerante che la bellezza crea. Non per nulla nel mondo greco accanto alla visione apollinea perfetta, armonica, completa, esisteva l’aspetto dionisiaco che è dramma, male, tormento, ferita.
In italiano la parola “ferita” ha un suo parallelo nella parola “feritoia”, anche se ha un significato diverso. La feritoia in un castello è la possibilità di andare fuori oltre le mura, guardando gli spazi infiniti.
La bellezza è tendenzialmente redentrice, religiosa perché invita a guardare sempre oltre. Per il credente Oltre e Altro indicano Dio. Per il non credente possono indicare il grande mistero che ci avvolge.
Oggi il richiamo della bellezza è ovunque, persuasivo e manipolativo. La bellezza è un piacere che fa crescere il nostro desiderio di possedere. Chi si occupa di marketing lo sa bene. La bellezza risveglia in noi il desiderio di assoluto, anche quando guardiamo una macchina, un paio di scarpe, una persona.
L’assoluto sembra il partner inseparabile della bellezza, ma oggi rischiamo di assolutizzare gli oggetti di consumo, di esserne schiavi, trasformando il mondo in una vetrina di attrazioni. Ci muoviamo freneticamente per il mondo cercando di vincere la paura di essere soli. Per vincere la solitudine abbiamo bisogno di piacere agli altri, di apparire attraenti.
E. OLMI
Se io sono solo con me stesso, sento che sto vivendo in vita la mia morte. Allora cerco di apparire vivo, in beata (o beota) convivenza con gli altri, facendo ricorso a una determinata pettinatura o a un determinato oggetto. Questa è la rappresentazione della solitudine di coloro che, sentendosi disperati, cercano l’apparenza, compresa quella della bellezza, per non sentirsi soli. Tuttavia questo non risolverà i loro problemi.
La bellezza è lo stupore che l’uomo prova di fronte alla creazione. Non avendo termini scientifici per definire la bellezza, tanto essa è smisurata, l’uomo cerca parole alternative, per esempio la verità. Allora la bellezza porta a cercare il motivo per cui quella bellezza è.
E quindi si cerca la verità. La bellezza è una sollecitazione perché ciascuno di noi cerchi frammenti di verità.
Ognuno di noi è un punto di vista, ognuno ha il suo frammento di verità. Abbiamo bisogno di comunità per condividere ognuno il frammento di verità dell’altro e far sì che la bellezza si manifesti, accada. La bellezza, dunque, non è un concetto, ma un’esperienza di verità.
C. CASSOLA
Per poter percorrere in maniera conscia questo XXI secolo, dobbiamo ricordarci che verità viene da “vereor”, cioè “riconosco”. Ciò che è bello deve essere tale perché si fa riconoscere, perché muove congiuntamente molti e crea una comunità. Bellezza e verità stanno insieme nella misura in cui entrambe creano cosmos, cioè un ordine di armonia.
La bellezza è una delle forme di manifestazione dell’ordine del creato, ma se il creato va in disordine, bisogna prima riparare il disordine. In una società violentemente ingiusta e ineguale come quella in cui stiamo vivendo, finché non è riparato il disordine che ha rotto il cosmos, l’ordine, non ci sarà mai bellezza. Io credo che, se si ha un minimo di lucidità storica e politica, non si possa passare per la via breve: cercare la bellezza e ricostruire l’ordine.
Cerchiamo, invece, quella giustizia che ricomponga l’ordine e l’ordine manifesterà la propria bellezza!
Gli antichi associavano la bellezza all’armonia e alla proporzione. Il mondo greco addirittura precisava una misura nella bellezza, la cosiddetta “sezione aurea”, espressa concretamente da un intervallo numerico. Ma qual è la sezione aurea della nostra società, l’unità di misura che determina il bello e il brutto? Da dove dovremmo ripartire?
Nel mondo globale la vita è sempre più complessa. Assomiglia sempre più a quella dei formicai. Ogni giorno facciamo i conti con l’inquinamento, la mancanza di lavoro, la paura di non essere all’altezza delle sfide personali e collettive. Sembra prevalere il male di vivere, come direbbe E. Montale, l’incapacità di apprezzare la bellezza della vita.
Eppure quando meno ce lo aspettiamo qualcosa di bello ci sorprende e alziamo lo sguardo verso una nuova prospettiva.
La bellezza è generativa, muove la creatività. Nel ‘900 l’arte ha rappresentato l’orrore e l’angoscia di vivere, la nostra grande nostalgia per una bellezza perduta.
Anche di fronte alle tragedie dell’umano l’uomo si esprime creativamente, cercando una via che riconduca alla bellezza, che plachi la sua sete di armonia e di senso. Il rapporto intimo tra l’uomo e la bellezza sarà vivo finché l’uomo saprà esprimere la sua creatività.
La creatività non ha fine, appartiene a ogni uomo e si esprime in tante forme. Tradisce il nostro desiderio di andare oltre noi stessi in nome di qualcosa di bello e di vero. Il mondo è in continuo divenire, attraversato da crisi forse irreversibili. Molti ripropongono, come uno slogan, la frase di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”.
G. RAVASI
Il commento che ci porta ad accettare questa frase nel suo significato autentico, è quello di uno scrittore americano, Henry Miller, lontano dalla religione, che, in una sua opera minore intitolata “La saggezza del cuore”, ha dato questa definizione molto paradossale: “L’arte come la religione non serve a nulla, tranne che a mostrare il senso della vita”. E questo certamente non è poco.
La bellezza è una realtà simbolica, nel senso che può raccogliere in sé dimensioni antitetiche: il bene e il male, la profondità e l’altezza, il mistero e l’evidenza, ma le coglie nella loro dimensione più oscura, più misteriosa e più luminosa al tempo stesso.
È per questo motivo che la bellezza di sua natura si sposa spontaneamente con la religione. La religione infatti non ha il compito di descrivere il visibile, l’ovvio, ma di scoprire il senso della realtà stessa, della storia, della persona, così come fa l’arte che non rappresenta mai la superficie, ma la profondità, il segreto o l’altezza, la tragicità, la gioia, che rappresenta cioè il nodo d’oro profondo che dà senso all’essere, all’esistere.
In questa luce fede e arte, fede e bellezza sono sorelle, perché si orientano tendenzialmente alla trascendenza, ad andare oltre, a non fermarsi mai alla pelle, ma a penetrare fin nel cuore, nella coscienza degli uomini e delle donne, a entrare nel segreto profondo e ultimo della realtà.
A cura di Lucia Baldo
(Tratto dalla trasmissione di RAI 5 “Il Cortile dei Gentili”)