1. PAROLE PER ACCOGLIERE LA PAROLA
Il tempo della pandemia ci consegna lo spazio per una riflessione etico-teologica che ascolti in profondità la storia, ripensandosi nell’emergenza di luoghi, situazioni e persone.
Certo, la teologia ha forme di elaborazione proprie e non è reazione immediata a contingenze storiche. Essa problematizza radicalmente l’esistenza umana e le sue condizioni, per pensare Dio in un orizzonte «drammatico», in cui la libertà si costituisce lasciandosi interpellare da quella Parola che accade nella storia (cf. Gv 1,1-18) e che pure resta irriducibile a prodotto storico-culturale.
Il pensiero teologico ha dunque bisogno di indugiare sul vissuto, per offrire una parola propria, costruttiva e ricostruttiva; ha bisogno del tempo disteso del discernimento, per una contaminazione feconda – nel segno del bene e della giustizia – tra la vita umana e l’avvento del Dio di vita.
Essa ricerca una parola pensata e pesata, sofferta e leale; una parola ricca di senso e indicatrice di direzioni; prudente eppure responsabile nelle prese di posizione e nelle scelte; critica delle ambivalenze della vita culturale e socio-politica. Una parola densa di pudore, che non profana la dignità altrui, né produce violenza, ma dialoga, con rispetto e riconoscimento dei suoi interlocutori, in trasparenza e verità.
2. ETICA E SPIRITUALITÀ DEL QUOTIDIANO PER UN’UMANITÀ FRAGILE
Punto di partenza è l’ordinarietà di un quotidiano che ha visto il lavoro, i rapporti familiari, il tempo libero e la vita ecclesiale profondamente stravolti dalla pandemia.
L’irruzione della malattia e della morte ha rivelato elementi qualificanti dell’humana conditio, dimensioni valoriali di un’esistenza di cui scopriamo tutta la vulnerabilità e la fragilità. C’è allora da far tesoro, anche per il tempo davanti a noi, dell’etica del quotidiano che ha sostenuto questi giorni. Un’etica intessuta di amore, di attenzione per le relazioni, per la qualità di parole e gesti; un’etica espressa anche in ritualità che sostanziano e concretizzano solidarietà, responsabilità e cura della casa comune e dei suoi abitanti.
Non a caso, la pandemia ha visto crescere una domanda di spiritualità – anche oltre le appartenenze religiose – alimentata dalla domanda sul senso di una situazione anomala, dal bisogno di consolazione, dall’interrogativo sul volto di Dio.
3. DIGNITÀ, EGUAGLIANZA CONTRO LA CULTURA DELLO SCARTO
Anche grazie a tali risorse abbiamo resistito ai giorni più difficili, aggrappati ai segni dell’umanità comune: una realtà che ci precede, che ci accoglie come ospiti e che sempre va tenacemente esplorata e coltivata. Se, infatti, la violenza della pandemia ha evidenziato la vulnerabilità condivisa, va pure affermato che, uguali nella fragilità, lo siamo anche nella dignità.
Tale passaggio chiave va quindi declinato come attenzione alla disuguaglianza nell’accesso ai beni necessari alla vita, ma anche ai meccanismi sociali e culturali che la creano; come responsabilità personale e collettiva di operare per il bene di tutti e ciascuno. Coltivare sentimenti e pratiche ispirati all’umano comune significa farsi sensibili ai processi di emarginazione prodotti nella vita delle persone, delle città, dei popoli e dell’intera biosfera.
Papa Francesco ha indicato la «cultura dello scarto » quale criterio per leggere in profondità il tempo che viviamo, indagando fenomeni contrastanti.
Così l’industrializzazione non ha solo arricchito il nostro spazio vitale con la tecnologia (preziosa nel tempo del lockdown), ma ha anche riconfigurato culturalmente gli aspetti antropologici essenziali dell’abitare e della convivenza umana; una rivoluzione tuttora in atto, che genera benessere, ma anche rifiuti, talvolta tossici, e al contempo esseri umani di scarto.
La stessa pandemia ha evidenziato l’ambiguo intreccio tra processi d’inclusione sociale e dinamiche di esclusione ed emarginazione, di degrado della convivenza umana: il lockdown è stato particolarmente duro per gli impoveriti, per i senza tetto, per rifugiati e sfollati, per i richiedenti asilo.
Né la logica dello scarto si ferma alla dimensione economica: entra nelle pieghe delle scelte quotidiane – specie in situazioni di urgenza e scarsità di risorse come quella degli ultimi mesi – e intacca la percezione della dignità delle persone.
4. PUBBLICO E PRIVATO, DIRITTI E ISTITUZIONI
Per questo va ripensato il rapporto pubblico-privato, letto nella modernità soprattutto come dialettica tra diritti individuali di libertà e ruolo delle istituzioni per la vita associata. Proprio di queste ultime, però, la pandemia ha evidenziato il ruolo fondamentale dinanzi a minacce così vaste: l’autorità ritrova il senso, etimologico ed etico, di «far crescere» la vita di tutti e custodirla – specie per i più vulnerabili – contro la cultura dello scarto. Non casuale, in tal senso, il forte impegno delle istituzioni contro la crisi economica indotta dal lockdown.
Certo, la prevenzione del COVID-19 ha anche portato misure che hanno temporaneamente sospeso l’esercizio di alcuni diritti democratici, innescando un ampio dibattito sul vivere civile in democrazia e le modalità di gestione del potere pubblico. Temi di rilievo anche per il futuro – per l’impatto sulla vita dei cittadini, sullo stato di diritto e sui rapporti tra i differenti poteri e i decisori pubblici – che hanno evidenziato la relazione imprescindibile tra diritti e bene comune. In tale orizzonte si collocano anche alcuni nodi specifici del dibattito etico di questi giorni.
a) Tutela delle persone e scelte di sanità pubblica
La drammatica problematica della gestione delle risorse sanitarie si è imposta in questi giorni con un’urgenza senza precedenti nella storia recente del paese. Abbiamo compreso l’esigenza di bilanciare una prospettiva di cura «patient-centered » e una «group-centered»; da un dibattito talvolta frenetico è emersa l’indicazione etica di offrire a ogni paziente il massimo potenziale di cura disponibile, valutando tutte le variabili contestuali, secondo il principio di proporzionalità.
Al di là dell’emergenza, andranno poi verificate argomentazioni e indicazioni normative: hanno interpretato adeguatamente la ricerca del bene possibile per il singolo?
Hanno integrato l’esigenza di giustizia sociale nell’accesso alle risorse di sanità pubblica? E come valutare la forte disparità di scelte tra sistemi organizzativi regionali?
b) Informazioni e diritti
Delicata è anche la gestione dei dati personali sensibili per l’interesse pubblico.
Siamo in una fase di accelerazione del passaggio a una «società datificata» che esige una forte riflessione etica, da estendere più ampiamente in ambito civile. Non è sufficiente una regolazione all’accesso, archiviazione ed elaborazione dei dati sensibili. La gestione dei processi decisionali attraverso algoritmi potrebbe portare a nuove forme di esclusione e controllo di persone e gruppi. Come contrastare, anche in quest’ambito, logiche di scarto?
c) Scuola, cittadinanza, giovani
Vivace pure il dibattito sulle decisioni legate al sistema scolastico nel lockdown. Nel tempestivo passaggio all’insegnamento a distanza con piattaforme informatiche, per rispondere alla necessità di continuità didattica in emergenza, alcuni hanno visto una tappa verso nuove modalità di scuola.
Molti, però, hanno sottolineato alcuni rischi, eticamente critici: quello di nuove forme di quella diseguaglianza che, proprio a scuola, va contrastata; quello di privilegiare la trasmissione di contenuti, rispetto alla formazione a stili di vita e cittadinanza da esercitare in concrete relazioni vissute.
Le forme cui ha costretto l’emergenza pandemica sono state inadeguate in tal senso, con vissuti di sofferenza per studenti, genitori e docenti.
È possibile valorizzare invece la tecnologia per una scuola orientata alla cittadinanza consapevole,centrata sulla sapiente presenza relazionale di formatori, tesa alla crescita di persone in processi educativi condivisi?
5. L’IMPREVISTO COME SFIDA ETICA: CHIAVI DI FUTURO
Tre nodi che dicono anche la fatica ad affrontare l’imprevisto per un’etica radicata – secondo un’etimologia del termine – in un dimorare, in un’esperienza di spazi abituali. Da là essa indica virtù (habitus) e stili consoni all’umano che è in noi e anche la pluralità delle etiche applicate risponde alla complessità crescente dei mondi che abitiamo. La pandemia di COVID-19, però, ha reso precario l’intero nostro abitare il mondo, disarticolando esperienze elementari e argomentazioni etiche.
Tale esperienza invoca una vera etica dell’imprevisto, per un mondo prevedibilmente destinato a forti e veloci mutamenti (si pensi solo al riscaldamento globale). Un’esigenza non nuova per una prospettiva morale radicata sulla sequela del Signore Gesù in una storia mutevole, ma che richiede, tuttavia, un metodo adeguato. Insufficiente una prospettiva deduttiva o formale, che rischia sempre di assolutizzare specifiche esperienze del mondo; neppure accettabile un puro approccio induttivo, che ribalta fattualità emergenti in valori.
A riguardo, l’enciclica Laudato si’ domanda attenzione per la densità morale di un’esperienza mutevole, una moltiplicazione delle forme in cui la si ascolta, per vagliarla criticamente. Così – in interazione con una pluralità di saperi – l’etica offrirà parole efficaci per i cambiamenti d’epoca che ci attendono; così si declinerà come sapere di tradizione in grado di esprimersi anche in contesti di accelerazione, per contribuire a governarli.
Alcuni criteri in tal senso:
a) Un contesto cosmopolita
La pandemia di COVID-19 ha dato corpo all’idea di unità della famiglia umana, così centrale in Gaudium et spes. Certo, per i credenti essa non è mero fatto, né realtà storicamente realizzata; piuttosto criterio, per leggere la storia e i legami intersoggettivi e sociali a partire dall’orizzonte della creazione e dal dono pasquale di Cristo. Per contrappunto, essa rende sensibili a nuove divisioni ed emarginazioni, a scelte ispirate alla cultura dello scarto.
Dinanzi a esse è richiesta a ogni generazione una decisione, oltre gli automatismi: il legame sociale nasce dall’incontro sempre rinnovato di libertà che riaprono spazi creativi e ridefiniscono strutture di tutela, che contrastano profili oppressivi e aggressivi, emarginanti e discriminanti rispetto all’humanum condiviso.
Si tratta di operare per un rinnovato tessuto di relazioni civili e internazionali di collaborazione, di fiducia, di governance condivisa, essenziale per un orizzonte comune di giustizia.
b) Bene comune e diritti: ripensare il rapporto
Tale esigenza tocca anche ambiti in cui il legame tra bene comune e comportamenti individuali è meno diretto rispetto a quella di rischio pandemico. Si pensi alla biosfera, il cui degrado minaccia gravemente la famiglia umana e ha presumibilmente contribuito anche al sorgere e alla diffusione del virus.
Occorre un supporto etico per processi democratici nazionali e globali di decisione, per misure orientate alla sua protezione e alla riduzione dell’iniquità socio-ambientale, per mostrare l’insostenibilità di un esercizio senza limiti dei diritti individuali.
È anche questa una dimensione dell’etica dell’imprevisto invocata dalla pandemia: un pensiero lungimirante, che prevenga i mutamenti e prenda precauzioni contro di essi.
c) La pace come orizzonte
L’immagine in cui la fede cristiana raccoglie l’impulso cosmopolita è la pace, che accoglie il dono della vita che ci accomuna e impegna a custodirlo e coltivarlo. «Pace a voi!»: il saluto del Risorto e grande dono di grazia di Dio (cf. Gv 20,19-23) conduce oltre diffidenza e indifferenza, rifiuta lo sfruttamento dei poveri e l’arricchimento di chi già ha il superfluo, evita pratiche di sopraffazione e promuove la cura, rigetta la guerra e l’inutile spesa per armamenti.
Pace è anche pensare distesamente, oltre le emergenze; è l’orizzonte di un pensiero teologico che sa ascoltare empaticamente il proprio tempo per pronunciare ancora parole ispirate dal Vangelo.
2 giugno 2020, Festa della Repubblica