Io – Tu
Benedetto XVI nell’enciclica “Deus Caritas Est” afferma: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (DC 1).
Gli fa eco Papa Francesco: “il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva…
Se tale invito non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte e questo è il nostro peggior pericolo. Poiché allora non sarà propriamente il Vangelo ciò che si annuncia ” (EG 39).
Le biografie di S. Francesco, attraverso i suoi sogni o la sue preghiere, raccontano la sua scelta di non chiudere l’io in se stesso, ma di farlo uscire da sé dialogando con Dio. Il dialogo con il Tu divino gli dà una forza nuova che lo porta a baciare il lebbroso facendogli vincere il ribrezzo che aveva sempre provato nei suoi confronti.
Questo incontro segna solo l’inizio della sua conversione, come recita il Testamento: “Il Signore concesse a me, frate Francesco d’incominciare…” (FF 110).
Il cammino di conversione di S. Francesco procede a piccoli passi, con l’inquietudine di chi sente di essere sempre in divenire ed è desideroso di dare un senso alla sua vita realizzando la sua vocazione. Infatti le “visite ai lebbrosi accrebbero la sua bontà”, ma… “pativa nell’intimo sofferenza indicibile e angoscia, poiché non riusciva ad essere sereno fino a tanto che non avesse realizzato la sua vocazione” (FF 1409).
La forma di vita evangelica
Grazie al suo esempio e alle sue parole, alcuni uomini si sentivano stimolati ad unirsi a lui, formando la prima Fraternità che, insieme a lui, si occupava dei malati, dei poveri, degli ultimi… Ma, nonostante fosse pieno di riconoscenza per il dono dei frati e per le loro opere di carità, manifestava il desiderio di voler fare un passo ulteriore: “… nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare” (FF 116).
Fu così che, insieme ai suoi frati, si rivolse all’Altro per sapere quale fosse la sua vocazione.
Come è testimoniato dalla Leggenda dei Tre Compagni: “Essendo dei semplici non sapevano trovare le parole evangeliche riguardanti la rinuncia al mondo e perciò pregavano devotamente il Signore affinché mostrasse la sua volontà alla prima apertura del libro” (FF 1430).
“Finita la preghiera, Francesco prese il libro dei Vangeli ancora chiuso e, inginocchiandosi davanti all’altare, lo aprì. E subito gli cadde sott’occhio il consiglio del Signore: Se vuoi essere perfetto, va’ e vendi tutti i tuoi beni e distribuiscili ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo. Francesco, dopo aver letto il passo, ne fu molto felice e rese grazie a Dio.
Ma, vero adoratore della Trinità, volle l’appoggio di tre testimoni, per cui aprì il libro una seconda e una terza volta. Nella seconda incontrò quella raccomandazione: Non portate nulla nei vostri viaggi ecc.; e nella terza: Chi vuole seguirmi, rinunzi a se stesso ecc.” (FF 1431).
Ascoltando queste parole esultò di gioia dicendo: “Ecco quello che bramavamo, ecco quello che cercavamo!” (FF 1498). Esultò di gioia perché finalmente lo stesso Altissimo gli aveva rivelato che la povertà era la forma di vita evangelica nella quale doveva vivere per realizzare la sua vocazione (cfr FF 116.1432). E così esclamò: “Questa sarà la nostra Regola” (FF 1498).
La prima pagina della Regola non Bollata è una conferma autorevolissima del racconto biografico, dal momento che le prime parole evangeliche citate da Francesco nella Regola e rivolte ai frati perché seguano “la dottrina e l’esempio” (FF 4) di Cristo, coincidono perfettamente con i primi due passi (Mt 19,21 e Mt 16,24) incontrati in S. Nicolò alla triplice apertura dei Vangeli (vedi l’Anonimo Perugino e la Leggenda dei Tre Compagni).
Per motivi di brevità e di essenzialità nella Regola Bollata cade la citazione esplicita del secondo passo evangelico, ma l’invito a rinnegare se stessi prendendo la croce di Cristo, è abbondantemente espresso nella Regola, in particolare nel voto di obbedienza.
La testimonianza del povero
Nella Lettera ai Fedeli S. Francesco esplicita il significato del rinnegamento di sé, dove chiede a tutti i fedeli di farsi poveri obbedendo alla volontà del Padre sull’esempio di Cristo che “essendo ricco più di ogni altra cosa volle tuttavia scegliere, insieme alla sua madre beatissima, la povertà” (FF 182). In questo contesto la povertà è presentata come offerta di sé sull’altare della croce nella dipendenza da Dio. Farsi poveri significa volersi mettere nella condizione di non frapporre nulla tra sé e Dio. “È mettersi nella condizione di dover dipendere e non di rivendicare l’autonomia dell’autosufficienza” (Vittorio Viola, Poveri per vivere da fratelli, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, 2014, p. 71). È sentirsi liberi nell’essere legati, nel non avere sicurezze che possano sostituirsi a Cristo e poter così diventare suoi veri discepoli.
S. Francesco ha vissuto la povertà esteriore finalizzandola alla povertà interiore. Ha vissuto la povertà esteriore in modo radicale per vivere allo stesso modo la povertà interiore e divenire Parola vivente. Ha evangelizzato il mondo come sacramento di Cristo, poiché nella sua povertà si è fatto dimora di Cristo.
Il mondo ha bisogno della testimonianza del povero per ritrovare se stesso.
Senza pretendere di seguire l’orizzonte grande ed eroico di S. Francesco, ma limitandosi ad un reale piccolo orizzonte si può essere piccoli testimoni di Cristo.
Graziella Baldo