Carisma materno
S. Francesco desidera che nessun frate assuma il ruolo paterno, perché uno solo è il Padre che è nei cieli (cfr. FF 61). Lui stesso non si qualifica mai come padre, mentre in una lettera a frate Leone si propone come una madre che gli augura “salute e pace” (FF 250) e si rende disponibile a dargli consigli o conforto.
Inoltre desidera che tutti i frati manifestino reciprocamente con fiducia le loro necessità materiali e spirituali con un affetto profondo che superi l’amore carnale di una madre. Infatti dice la Regola: “Se la madre ama e nutre il suo figlio carnale con quanto più affetto uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?” (FF 91).
Raccontano le biografie che nella vita di tutti i giorni e in particolare negli eremi: “Si amavano l’un l’altro con un affetto profondo, e a vicenda si servivano e procuravano il necessario, come farebbe una madre col suo unico figlio teneramente amato” (FF 1446).
Vedendo i loro rapporti reciproci molte persone riconoscevano i frati come discepoli del Signore e chiedevano di essere accolti nella loro fraternità.
Le biografie raccontano episodi della vita di S. Francesco che ci descrivono la sua cura materna verso tutti nell’offrire comprensione, conforto, nutrimento sia spirituale che materiale.
Una notte a Rivotorto un frate si lamentava di non poter prendere sonno a causa di una penitenza eccessiva che lo aveva portato alla fame. Allora Francesco “da uomo pieno di affetto e di sensibilità, si mise a mangiare con lui perché non si vergognasse di prendere cibo da solo” (FF 1712). Dopo la refezione Francesco esortò i frati a studiare un modo adeguato di fare penitenza astenendosi dal “cibo superfluo che appesantisce il corpo e l’anima”, ma non esagerando col digiuno, “poiché il Signore vuole misericordia e non sacrificio”.
Avvertiva la responsabilità di nutrire i suoi figli spirituali con la misericordia che lui stesso aveva ricevuto.
“Sentiva una fortissima attrazione per le creature, ma in modo particolare verso le anime redente dal sangue prezioso di Cristo; e, quando le vedeva inquinate dalle brutture del peccato, le compiangeva con una commiserazione così tenera (“tanta miserationis teneritudine”) che ogni giorno, le partoriva, come una madre, in Cristo” (FF 1134).
“Cercava la salvezza delle anime con pietà appassionata, con zelo e fervida gelosia” (FF 1138).

La gloria della croce
Con premura materna si curava anche dei ministri la cui autorità non doveva consistere nell’esibizione della propria potenza, ma nel far crescere (augere) i propri sudditi amandoli soprattutto quando si opponevano loro quasi come se fossero nemici.
Come è detto nella IX Ammonizione amare i nemici significa non dolersi dell’ingiuria ricevuta, bruciare per il peccato di chi l’ha compiuta e mostrare amore con i fatti, rinunciando ad una risposta vendicativa.
S. Francesco ripropone questo principio evangelico ad un ministro scrivendogli: “Io ti dico come posso, per ciò che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti impediscono di amare il Signore Iddio e ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti picchiassero, tutto questo tu devi ritenere per grazia ricevuta. E così tu devi volere e non diversamente. E questo ti sia per vera obbedienza del Signore Iddio e mia, perché io fermamente so che quella è vera obbedienza” (FF 234).
Il Santo sa che la vera obbedienza che si deve al Padre è quella di Cristo e propone al ministro di imitarla.
Come dice S. Bonaventura gli fu rivelato il mistero grande e mirabile della croce, tanto che in tutta la sua vita seguì sempre e solo le vestigia della croce, conobbe sempre e solo la dolcezza della croce e predicò la gloria della croce (cfr. FF 1328).
Certo è difficile spiegare a parole questo mistero e, come osserva il Celano, “solo lo può sapere chi, unico, ha avuto la grazia di provarlo” (FF 792).
Ricordando S. Bonaventura papa Francesco osserva che le migliori esperienze sono quelle che ci danno una felicità paradossale regalata quando accettiamo la logica misteriosa che non è di questo mondo: la logica della croce (cfr. GE 174).
Nella V Ammonizione è proclamata la possibilità di gloriarci solo nelle infermità e nel portare ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. FF 154). Questa devozione porta S. Francesco a suggerire al ministro l’assunzione della croce di Cristo che ha offerto misericordia anche a chi non ha usato misericordia nei suoi confronti, poiché il male va riparato assumendolo e non opponendosi ad esso in modo vendicativo.
Le ingiurie diventano “grazia ricevuta” (FF 234) poiché consentono di lavare le colpe attraverso il nutrimento materno della misericordia. Lo percepiamo da queste parole di S. Francesco: “Ed io stesso riconoscerò se tu ami il Signore e se ami me suo servo e tuo, se farai questo e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto più poteva peccare, che dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne ritorni via senza la tua misericordia, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se comparisse davanti ai tuoi occhi mille volte, amalo più di me per questo, affinché tu lo possa conquistare al Signore ed abbi sempre misericordia di tali frati” (FF 235).

Graziella Baldo