La nostra civiltà utilitaristica ha frantumato la fraternità. Ha connotato pesantemente i rapporti umani che tutto sono fuorché fraterni al punto che è diventato difficile anche solo pensare che possano essere tali. Prova ne sia che identifichiamo il bene comune col bene totale, cioè con la somma dei beni di ciascuno individuo, che è sempre positiva (se qualcuno non dispone di beni non incide sulla somma totale). Invece il bene comune riguarda tutti, in quanto tutti incidono sulla sua formazione e se qualcuno ne rimane estraneo tutti ne risentono. Per esempio se qualcuno rimane senza lavoro l’intera fraternità umana ne risente.
Nel nostro contesto culturale l’attuazione della fraternità umana fa sorridere, viene considerata un’utopia o al massimo viene considerata realizzabile in luoghi isolati, protetti, fuori della realtà.
In opposizione a ciò oggi la Chiesa propone un pensiero innovativo fondato sulla fraternità umana.
Dopo il Vat II, i documenti pontifici la portano continuamente al linguaggio ed è considerata fondamentale per costruire il bene comune, anche nell’attività economica (cfr. CV cap.3).
Invece l’utilitarismo ha negato la fraternità ed ha portato l’infelicità. Dal punto di vista economico ha dato ampio spazio al mercato capitalistico proponendolo come l’unico modo di agire nel mondo economico.
Oggi “nell’epoca della globalizzazione l’attività economica non può prescindere dalla gratuità, che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune” (CV 38).
Come accadeva in origine il mercato può avere una dimensione umana: non essere il luogo della sopraffazione del forte sul debole, ma la società civile può costituire l’ambito di un’economia della fraternità. Il mercato civile fu sostenuto nel secolo XV da francescani come S. Bernardino da Siena, S. Bernardino da Feltre e Giacomo della Marca e Michele Carcano da Milano, che fondarono i Monti di Pietà e inventarono la partita doppia. Senza l’opera omiletica dei predicatori francescani l’idea dell’accumulo di risorse a vantaggio dei poveri meno poveri non avrebbe potuto essere realizzata.
Si arrivò a questa civiltà grazie all’intuizione di S. Francesco che introdusse il messaggio della fraternità nella sua vita e poi nella storia.
Il Santo non cedette alla tentazione di ritirarsi dal mondo, ma vi restò e fondò un popolo nuovo, il popolo dei francescani, il popolo che visse e portò nel mondo la fraternità.
Il popolo francescano non è costituito da una cozzaglia di persone diverse. Come c’è il popolo italiano, il popolo tedesco… c’è il popolo dei francescani che è cosmico ed ha in se stesso una forza, un annuncio, un messaggio, una civiltà, un linguaggio che è suo e che va portato al mondo.
S. Francesco e i suoi fratelli recuperarono nella loro forma di convivenza e nei mutui rapporti quotidiani di vita il messaggio evangelico della fraternità umana. Non separarono i loro luoghi in cui abitavano dal mondo degli uomini con la costruzione di mura protettive di un’isola dei beati. I loro luoghi erano in mezzo al mondo come testimonianza di fraternità.
La loro convivenza non era retta da abati, maestri o prelati, ma da ministri che si comportano con i confratelli come i servi con i loro padroni. E d’altra parte i frati devono ubbidire ai loro ministri non per forza o per timore o per calcolo, ma volentieri con “caritativa obbedienza” (FF 149), poiché “se una madre nutre e ma il suo figlio carnale, con quanto più affetto uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?” (FF 91).
Le antiche biografie sono concordi nel ricordare la cura di S. Francesco nel cogliere i motivi e le occasioni della vita quotidiana per una pratica di fraternità che non è offuscata da preclusioni di alcun genere.
Però avvertiva il rischio continuo della rottura, della frantumazione della fraternità, che era avvertita come un “morbo pestifero” (FF 769). E malediceva coloro che la ingiuriavano invidiando il proprio fratello. “Costoro –diceva – portano sotto la lingua il veleno col quale intaccano il prossimo” (FF 768).
La colpa contro la fraternità era da lui così biasimata da ritenerla fonte di rovina. Diceva: “Incombono gravi pericoli all’Ordine, se non si rimedia ai detrattori. Ben presto il soavissimo odore di molti si cambierà in puzzo disgustoso, se non si chiudono le bocche di questi fetidi.” (FF 769).
E non esitava a condannare il detrattore ad una punizione fisica mettendolo in mano al pugilatore fr. Giovanni di Firenze, “uomo di alta statura e di grande forza”.
E dichiarava al suo vicario frate Pietro di Cattanio di porre la massima attenzione affinché non si diffondesse questo morbo pestifero.
Avvertiva fino in fondo la dignità e il rischio di questa nuova forma di vita retta nella fraternità.
Niente è più fragile della fraternità! Non è mai conquistata una volta per tutte. I periodi di crisi e decadenza dell’Ordine francescano sono nell’eclissi della fraternità.
E il rinnovamento è nel suo recupero luminoso seguendo il modello della primitiva fraternità francescana che sbalordiva e conquistava tutti.