Nel Medio Evo i trovatori nelle canzoni esaltavano la donna con gli epiteti più romantici, ma i biografi di S. Francesco affermano che nessun poeta abbia mai esaltato la donna come il Santo di Assisi ha esaltato la povertà. Quando il francescanesimo parla della povertà, lo fa con un linguaggio poetico che coinvolge tutta la persona. Non è solo un ragionamento filosofico, poiché S. Francesco ha sempre un’ammirazione incondizionata, una devozione, una tenerezza che fanno della povertà quasi un mito. Nella letteratura cristiana non si trova questa esaltazione della povertà in se stessa, come negli scritti di S. Francesco nei quali essa è congiunta sempre a Gesù Cristo e a sua madre, Maria. I biografi del Santo raccontano che egli ripeteva spesso ai suoi frati il brano del Vangelo dove emerge che Gesù Cristo ha scelto la povertà: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20).
Tra le Fonti francescane ce n’è una che generalmente non si prende in considerazione perché si è a lungo creduto fosse una fonte molto tarda: “Sacrum Commercium Sancti Francisci cum domina paupertate”. Oggi di questa fonte sono stati scoperti tre manoscritti che la fanno risalire al 1228, cioè a soli due anni dopo la morte del Santo. È una biografia profonda, un dramma piuttosto che una riflessione. La si potrebbe rappresentare in una forma dialogica, in un’azione in cui la povertà va cercando in questo mondo se vi è ancora un posto per lei. In quest’operetta è riportata la frase che rappresenta il senso della povertà francescana. A Madonna povertà che aveva chiesto dove fosse il convento dei frati, essi, dopo averla condotta su un colle per mostrarle la terra fin dove giungeva lo sguardo, dissero: “Questo, signora, è il nostro chiostro” (FF 2022).
Questa frase è una delle più belle della spiritualità francescana, perché sta a indicare il desiderio dei francescani di “battezzare” il mondo, di abitarlo per imprimere in esso i segni del sacro, anziché rinchiudersi in una fortezza per isolarsi dal mondo, come avveniva in epoca feudale.
S. Francesco è chiamato “alter Christus” perché ha seguito Cristo nella scelta della povertà. Ma noi ci chiediamo: perché Cristo ha scelto la povertà? E perché S. Francesco ha voluto assumerla in un modo totale? I motivi fondamentali di questa scelta si possono ridurre a due: il primo è che il Santo di Assisi ha avuto la rivelazione che la salvezza viene dal cielo e non dalla terra. Per questo Cristo dice: “Non potete servire a Dio e a mammona” (Lc 16,13). Ma dice anche: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli” (Mt19,24).
È il Figlio che viene dal cielo a salvare, non le cose di questo mondo. Ma questa visione di pensiero o enunciazione di principi, non basta a comprendere da dove il Santo traesse la forza di seguire Cristo anche nella scelta radicale della povertà. Questa forza gli veniva dal vedere che Gesù ha tanto amato gli uomini che, per poter far sì che essi capissero e vivessero questo principio, egli stesso si è fatto povero.
S. Francesco ha visto Dio nella sua umiltà, nel suo discendere tra gli uomini, piuttosto che nella sua trascendenza, nella sua potenza. In Gesù Cristo che ha fatto questo cammino, questa scelta di discesa nella fragile umanità, si esprime l’essenza di Dio. Nella povertà di Cristo si rivela la manifestazione più forte di quell’essenza misteriosa, invisibile di Dio che è essenza d’amore per gli uomini.
La povertà rivela il volto di Dio. Gesù Cristo rivela l’essenza di Dio che è essenza di misericordia, di degnazione, di un amore che scende sempre verso il basso fino in fondo, al di fuori di sé per portare la creazione nella sua gloria.
Ma fin dove arriva questa povertà? Certamente non è essenzialmente povertà di corpo. Il corpo va introdotto, ma la beatitudine è beatitudine di spirito: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,3). Povertà di spirito vuol dire servizio non di se stessi, ma di Dio (cfr Am XIV). Ciò non significa che si possa essere poveri di spirito pur mantenendo le ricchezze.
Bisogna fare armonia tra la povertà di spirito e la povertà effettiva del corpo. Il pensiero francescano è stato una grande scuola sociologica. S. Giovanni da Capestrano, S. Bernardino da Siena sono tra i grandi santi francescani predicatori che hanno posto le basi di una economia del bene comune e fondato i Monti di Pietà.
I francescani non accettano la rottura tra corpo e spirito e quindi non possono evadere dalla questione sociale, perché dove c’è il più piccolo, c’è Gesù. È lo spirito che si fa carne, quindi deve essere povero insieme al corpo. La povertà di spirito è l’obbedienza, ma ci vuole anche la povertà del corpo.
Bisogna partire dalla globalità dell’uomo che è spirito incarnato. Il movimento francescano è un movimento di base, viene dal basso; è concreto, ovvero nella pluralità. Perciò è un movimento di vita, di civiltà.
Lucia Baldo