Il-Cantico-3-20151

 

Il vero significato del termine “laicità” a volte sfugge o diventa ambiguo, porta a incomprensioni o a sterili contrasti.

Le discussioni e le polemiche sulla laicità da anni vedono contrapporsi intellettuali laicisti e intellettuali cattolici in una sfida fra due culture che sembrano radicalmente lontane, non comunicanti, incompatibili.

In vari casi, attraverso i media, il dibattito assume toni di un vero e proprio scontro. Eppure la dimensione della laicità appartiene a tutti. Può e deve essere una dimensione condivisa.

Per molti la religione è incompatibile con un’idea compiuta di laicità. È diffusa la convinzione che ogni fede porti con sé un certo potenziale di intolleranza verso le diverse visioni del mondo e della vita. Ma questa opinione spesso diventa così integralista da diventare intollerante nei confronti delle religioni.

Ci sono prese di posizione che rivelano la mancanza di imparzialità richiesta da un atteggiamento veramente laico. Sono posizioni che tradiscono la volontà di fare della stessa laicità un’ideologia, un dogma a cui piegare ogni altra sensibilità.

C’è chi professa con fermezza il suo credo religioso, ma pensa, agisce e si confronta con gli altri in modo laico. C’è chi si dichiara ateo e laico, ma a volte assolutizza il proprio punto di vista.

La laicità non è un risultato acquisito una volta per tutte. C’è bisogno di una laicità matura che valorizzi i punti d’incontro tra culture diverse e non abbia paura del punto di vista forte delle religioni sulle grandi questioni della vita.

La laicità non è un termine astratto, un concetto adatto ad un confronto fra intellettuali. È un valore che viene messo alla prova ogni volta che incontriamo qualcuno di cultura e di visione diversa dalla nostra. Essa si misura nell’esperienza quotidiana, nella nostra capacità di ascoltare, di accogliere, di conoscere.

Il mondo sta cambiando a velocità vertiginosa e non basta più la tolleranza reciproca. La laicità deve essere un luogo creativo dove condividere la ricerca di senso e di strade comuni per il futuro di tutti.

 

GIANFRANCO RAVASI

Paradossalmente il termine “laicità” è di origine ecclesiastica, perché il termine “laico” (laos=popolo) fu coniato, su base greca, nei primi secoli cristiani per distinguere, all’interno della comunità ecclesiale, i fedeli dalla gerarchia, cioè dal sacerdozio.

È un termine che, come spesso accade, ha subito un’evoluzione molto complessa e che, nei nostri tempi, è mutato radicalmente attraverso due espressioni: laicità e laicismo.

La laicità è l’affermazione della legittimità di un’autonomia della sfera politica ed economico-sociale dalla religione.

Il laicismo o clericalismo o teocrazia è l’affermazione di un’indipendenza legittima delle due sfere, ma negando qualsiasi possibilità di contatto col mondo dello spirito o della religione; cioè si considera la religione come un fenomeno che non deve avere incidenza nella società. È l’affermazione integralistica di uno dei due poli.

In questa luce dobbiamo ricordare che la laicità è un valore sia per i credenti sia per i non-credenti.

Lo Stato e la Chiesa si interessano della stessa realtà: la persona. In questa luce devono codificare alcuni tipi di rapporto. Per esempio il problema della libertà, della dignità della persona, della vita e della morte, della giustizia, dei valori etici o meno. Su quel crinale dove ognuno arriva con la propria autonomia comincia il dialogo che può anche essere aspro, purché non sia ad una sola voce, come vorrebbero il laicismo e il clericalismo.

 

GIULIANO AMATO

Teoricamente la laicità è superamento dello Stato che ha una religione ufficiale. Ma questo superamento ha finito per significare cose profondamente diverse. Si è pensato che, poiché lo Stato non ha più una religione ufficiale, la religione non conti più nulla, sia un affare privato, sia una superstizione da cui bisogna liberare le menti dei cittadini che devono essere ispirati dalla ragione.

Questa non è laicità! È un forte sentimento e atteggiamento culturale antireligioso che si è infilato nella storia dello Stato con religione ufficiale e ha fatto pensare che così dovesse essere in uno Stato laico. Questo è un errore fondamentalissimo. Una cosa è non avere una religione ufficiale, un’altra cosa è abolire o contrastare la religione nella vita civile e nella stessa vita pubblica.

Io mi riconosco in ciò che ha detto Habermas che ci ha invitato a prendere atto che oggi viviamo in una società post-secolare. Una società pluralista, come è sempre più la nostra, in cui vivono religioni diverse, non può che essere post-secolare in cui ciascuno rispetta gli altri nella stessa misura. Nel famoso dialogo tra Benedetto XVI e Habermas, nel 2004, entrambi si riconobbero nella ragione anche se le ragioni dei due non erano le stesse: quella di Benedetto XVI porta a scoprire i fini ultimi dell’uomo e a dire che agire contro la ragione è agire contro Dio.

Comunque c’è un terreno comune ai due pensatori. Entrambi parlano di ragione. Il loro è stato un contributo importante alla costruzione di una piattaforma comune.

 

(trascrizione dalla trasmissione di Rai 5  “Il cortile dei gentili”, a cura di Graziella Baldo)