Intervista a cura del Consiglio della Zona pastorale Fossolo in Bologna
Nell’ambito dell’Anno dedicato alla Memoria di S. Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale, il Consiglio della Zona pastorale Fossolo in Bologna, a partire dal 19 marzo Festa di S. Giuseppe, ha voluto dedicare una particolare attenzione ad alcuni aspetti della sua straordinaria testimonianza riproposta dalla Lettera apostolica “Patris Corde”, dando spazio con interviste ad alcune attualizzazioni della sua modalità di servizio e di obbedienza. Dopo aver preso in considerazione nella prima intervista il tema di San Giuseppe lavoratore e il coraggio creativo, nella seconda intervista, che qui proponiamo, l’attenzione è stata posta sull’accoglienza, quella accoglienza che nella Parrocchia S. Maria Annunziata di Fossolo è stata rivolta già da alcuni anni a ragazzi migranti attraverso il Gruppo Migranti e che ora, attraverso una convenzione tra la Parrocchia e la Cooperativa Sociale Frate Jacopa, ha assunto la forma di un progetto di inserimento socio-lavorativo per una famiglia di rifugiati.
È possibile ascoltare l’intervista sulla pagina facebook della Parrocchia o sulla pagina youtube della Fraternità Francescana Frate Jacopa.
Lucia: La “Patris Corde” – la Lettera Apostolica di Papa Francesco che ricorda i 150 anni della consacrazione del Santo come Patrono della Chiesa universale – ci presenta la figura di San Giuseppe con tante diverse sfaccettature. Tra queste sfaccettature in questo spazio ci vogliamo occupare dell’accoglienza e dell’obbedienza di S. Giuseppe. S. Giuseppe nella “Patris Corde” è visto come l’uomo dell’accoglienza. Accetta con senso di responsabilità gli eventi che accadono in obbedienza alla volontà del Signore che gli si manifesta in sogno più volte. E così si riconcilia con la sua storia.
Siamo qui, Federico, Anna Rosa ed io, rappresentanti del Consiglio della Zona pastorale Fossolo per incontrarci con alcuni esponenti della Coopeativa Sociale Frate Jacopa – Rosita, Alfredo e Giorgio, che ne è il presidente –, perché questa Cooperativa Sociale sta portando avanti un progetto di accoglienza nella Zona pastorale, in particolare nella Parrocchia di S. Maria Annunziata di Fossolo: accoglienza di una famiglia di rifugiati con un progetto di inserimento socio-lavorativo. A questa Cooperativa, che prende il nome della prima donna laica seguace di S. Francesco, Frate Jacopa appunto, chiediamo che cos’é questo progetto? Come nasce? Quando nasce?
Giorgio: Preciso che la Cooperativa è uno strumento che la Fraternità Francescana Frate Jacopa si è data per poter rispondere alla propria vocazione nel contesto civile. Nel caso di cui stiamo parlando è lo strumento utilizzato per concretizzare ulteriormente gli obiettivi del Gruppo Migranti di S. Maria Annunziata di Fossolo e della Parrocchia tutta. Il Gruppo Migranti, a cui la Fraternità Frate Jacopa ha aderito fin dall’inizio, opera già da diversi anni, e quindi già prima della pandemia.
La Cooperativa da parte sua è in grado di operare nella realtà socio-economica al servizio di questa comunione, che si è costituita per accogliere migranti e disagiati, una comunione che va dalla Fraternità Francescana alla Parrocchia attraverso il gruppo di volontariato e della Caritas per realizzare in questa chiesa locale le qualità necessarie per l’integrazione di persone in difficoltà. Come? Trasformando episodi di soccorso e accoglienza in qualcosa di più appropriato per persone che tentano di acquisire dignità nel lavoro e accedere nella società in qualità di cittadini.
Anna Rosa: Mi sembrava interessante anche mettere in evidenza la interazione che voi avete con il territorio nel quale agite, perché molto spesso capita che anche nelle nostre parrocchie si fanno attività buonissime ma l’interazione con il territorio non è così viva. E soprattutto non è portatrice di una sinergia di aiuto reciproco.
Giorgio: La cooperativa sociale per sua natura anche economica agisce sul territorio con gli strumenti che gli sono consoni, però va detto che la Cooperativa fino ad ora a Bologna ha proposto di fatto soprattutto una serie di sensibilizzazioni di carattere formativo per un discernimento alla luce del Magistero e della spiritualità francescana su importanti tematiche come la custodia del creato, la cultura della pace, la cultura della cura, la fraternità … In questo senso ha operato molto nel territorio e in particolare in questo territorio.
Per quanto riguarda invece il discorso del sentirsi interpellati e di mettersi al servizio di un progetto di integrazione e di sviluppo della dignità del lavoro – diversamente da Roma, dove abbiamo la sede legale e dove esperimenti di solidarietà in questa direzione sono stati operati per alcuni anni a favore di ragazzi diversamente abili in un progetto di collaborazione con il Municipio –, qui a Bologna è una esperienza relativamente nuova, ma è un’esperienza che accettiamo volentieri e pensiamo di poter avere le carte in regola per poterci cimentare, eventualmente anche in collaborazione con altre associazioni o cooperative sociali.
Lucia: Da quello che tu dici, questo progetto sembra proprio rientrare in quella visione di chiesa in uscita che è tanto cara a Papa Francesco, una chiesa in cammino, dinamica, che va verso le periferie più disagiate, verso le persone deboli e in difficoltà, un progetto in uscita, proprio in un tempo di pandemia in cui si sarebbe molto più portati a fermarsi, a salvaguardare, a chiudersi in se stessi. Che cosa ci puoi dire di questo progetto? Questa visione dinamica di chiesa in uscita possiamo coglierla in questa vostra attività? Che cosa puoi dirci di più di questo progetto? Quali sviluppi in futuro?
Giorgio: Chiesa in uscita è un concetto molto vasto con tante implicazioni. Tutti noi che partecipiamo a questo progetto, dando formazione e professionalità ad alcune persone per un certo tempo, facciamo un piccolo passo in questa direzione di chiesa in uscita, che certamente è suscettibile di ulteriori sviluppi, aprendosi anche verso altre persone e rispetto ad altri settori contigui.
Si tratta di trasformare un episodio di accoglienza e di beneficenza in un progetto di inserimento socio lavorativo per una intera famiglia di rifugiati e stranieri in una città complicata come Bologna. È un piccolo passo, ma è un cammino di chiesa che può definirsi come un inizio di “chiesa in uscita”.
Riguardo al fatto che noi siamo in piena pandemia e siamo partiti con il progetto proprio in questo tempo, vorrei dire che lo spirito francescano che mi guida e ci guida è la fraternità. Uno spirito che non può venire meno in tempo di pandemia, anzi lo si misura proprio in questi tempi particolari. Se non siamo in grado di esprimere fraternità in questo tempo in cui ci sono persone in difficoltà, non siamo autentici. E la Cooperativa, che è destinata per statuto alla promozione umana e alla integrazione sociale nella solidarietà, di fatto deve esprimere nelle azioni lo spirito di fraternità che anima questa porzione di chiesa, che non è fatta solo dalla Fraternità Frate Jacopa, è fatta dal Gruppo migranti e dalla Parrocchia tutta. Una comunione che è estremamente importante in questa costruzione, in questo fare insieme scelte responsabili, portando avanti un messaggio comune che ci sembra di grande significato.
Lucia: Vorrei chiedere a Rosita e ad Alfredo – che sono tutor di questa famiglia di rifugiati – se ci possono raccontare la loro esperienza di questi due anni di vita vissuti accanto a loro, accompagnandoli in un itinerario non facile di integrazione; non facile perché sono persone che appartengono ad una cultura diversa, religione diversa, con tradizioni e mentalità diverse. Vorrei chiedervi quali problemi, quali difficoltà avete dovuto affrontare? E questa differenza di cultura è stata per voi motivo di preoccupazione, di difficoltà? Avete perduto qualcosa della vostra identità? O al contrario avete acquistato qualcosa?
Rosita: Quando dal gruppo migranti, di cui facciamo parte, è emersa la necessità di seguire una famiglia, abbiamo avuto un momento di perplessità, vuoi per il numero delle persone da seguire (prima 4 ora 5), vuoi per tutte le esigenze che sappiamo una famiglia può avere e per il fatto che la durata della permanenza nella parrocchia non sarebbe stata di sei mesi, come per le altre accoglienze ma a tempo indeterminato; anche se sappiamo che i tutor rimangono sempre il riferimento, magari non li senti per dei mesi ma quando hanno bisogno sanno a chi rivolgersi. Abbiamo accettato sapendo appunto che dietro c’è il Gruppo migranti e la Fraternità Francescana Frate Jacopa di cui facciamo parte.
Il capofamiglia nel suo paese ha lavorato con italiani, li accompagnava al lavoro e faceva loro da interprete. Suo padre ha lavorato per lunghi periodi in Italia, così fin da ragazzo ha avuto un’educazione con visione più aperta rispetto a quella tradizionale del suo paese. Si rivolge indifferentemente a me o ad Alfredo quando ha bisogno di informazioni, non solo quando siamo presenti, ma, se ha bisogno, telefona direttamente anche a me.
Occorre sollecitarlo nella soluzione dei problemi che si possono presentare, quindi a volte è necessario dirgli proprio “fermati e parliamone insieme”.
Il grosso problema è la comunicazione con la moglie che capisce un po’ l’italiano ma non lo parla, quindi parliamo con l’aiuto del marito, mentre a volte ci capiamo istintivamente. Da quando è arrivata in Italia ha avuto altri due figli, e anche il fatto di farle seguire una scuola continuativamente è un problema.
Adesso inserendo tutti i bimbi all’asilo, speriamo di poter riprendere una frequenza costante per l’apprendimento della lingua italiana, aiutati anche da Lia, un’insegnante della Parrocchia molto disponibile.
Entrambi, marito e moglie, sono rispettosi della nostra religione e anche curiosi. A volte facciamo dei paralleli delle fasi che scandiscono i vari periodi.
Loro ci fanno gli auguri in occasione delle nostre feste religiose, vivendo nella parrocchia vedono che a volte ci sono manifestazioni più solenni.
Anche noi ci sentiamo accolti da questa famiglia. Camminiamo insieme e cerchiamo di non essere invadenti nella loro vita; la decisione finale deve essere sempre loro, noi possiamo spiegare e sollecitare ma senza andare oltre. In alcuni periodi io personalmente ho potuto frequentarli di meno e quando tornavo il bimbo grande mi rimproverava; so di essere la “nonna”, anche se non mi ha mai chiamato così, ma quando parlano in famiglia, il bimbo dice che ha due nonne in Italia (Rosita e Lia) e una che vede ogni tanto per telefono (la vera nonna).
Avere cura di questa famiglia ci ha confermato che è possibile fare qualcosa per gli altri. Non è così scontato. L’accoglienza e la fraternità non devono rimanere solo parole che ci riempiono il cuore.
Quando le ascoltiamo, specie dalla voce del Papa, infatti lui ci esorta a concretizzarle come possiamo, con tutti i nostri limiti, noi ci stiamo provando.
Alfredo: Noi parliamo spesso di integrazione dei migranti. E dover affrontare problemi burocratici (per la residenza, rilascio permesso di soggiorno ecc) ci ha fatto riflettere sulla difficoltà proprio all’inizio della loro integrazione. Se lo straniero fa più volte la stessa domanda all’impiegato del comune o agli operatori di altri sportelli è perché non capisce. Se a volte la burocrazia anche per noi sembra andare contro la logica, pensiamo come può apparire a loro!
Purtroppo i problemi più grossi da risolvere sono il lavoro e la casa: oggi è ancora più difficile. Questi problemi difficilmente possiamo risolverli da soli, occorre che la parola “accoglienza”, auspicata dal Santo Padre si concretizzi in una rete di solidarietà tra persone di buona volontà. Prima di tutto attraverso una conversione spirituale, ma anche culturale. Occorre capire che aprirsi non è perdere qualche cosa, ma al contrario è arricchirsi reciprocamente; poi mettere a disposizione i propri talenti e risorse in una condivisione fraterna. Solo così potremo superare quel senso di diffidenza, che ci separa, dato dalla lingua, dalla cultura o dal colore della pelle. Questo è il discorso che ci deve colpire di più quando si parla di fraternità e di cooperativa.
Proviamo a pensare alla famiglia di Nazaret, alla ricerca di un tetto sotto il quale far nascere il proprio Bambino, o alla fuga in Egitto per sfuggire alla persecuzione. Noi con questa famiglia un pochino abbiamo vissuto queste cose. Sembra una storia lontana nel tempo, quella del Bambino di Nazaret, ma è tremendamente attuale.
Noi abbiamo avuto una difficoltà a capire quale è stata la storia di questa famiglia, perché facevano fatica a aprirsi, a parlare. Poi abbiamo capito che effettivamente hanno alle spalle una storia dolorosa di fuga precipitosa per salvare tutta la famiglia.
Lucia: Obbedire vuole dire ascoltare. Obbedienza e accoglienza sono strettamente congiunte, perché non si può accogliere se non si è attenti alle esigenze dell’altro. Il Papa nella “Patris Corde” unisce all’accoglienza la fortezza, una virtù che solo Dio ci può donare, Lui che “sa fare germogliare fiori tra le roccie”. Con questo auspicio di speranza noi ci salutiamo, ringraziando la Cooperativa sociale Frate Jacopa e tutta la Zona pastorale Fossolo, che è il territorio dove questi fermenti possono crescere e maturare.
Il Cantico